La manifestazione era stata organizzata dal «Traditionalist Worker Party», una piccola sigla del suprematismo bianco californiano legata al network neonazista dei «Golden State Skinheads», per denunciare, recitava letteralmente così l’appello diffuso in rete, «la situazione di pericolo in cui si trova la nostra razza». E il motivo immediato addotto per l’iniziativa, autorizzata dalle autorità e protetta dalle forze dell’ordine, erano «la serie di attacchi brutali subiti negli eventi organizzati da Donald Trump in California». In altre parole, una protesta in nome della razza (bianca) contro chi nelle scorse settimane ha manifestato contro i meeting razzisti tenuti dal tycoon newyorkese nel grande Stato della costa pacifica.

La trentina tra estremisti in tenuta paramilitare e naziskin che erano convenuti a Sacramento, nei prati che circondano il Parlamento della California, hanno però avuto la sorpresa di essere contestati da un numero dieci volte superiore di antirazzisti e antifascisti chiamati a raccolta dai movimenti progressisti e dalle associazioni di difesa delle comunità immigrate. Malgrado l’ingente presenza della polizia e l’intervento anche di numerosi agenti a cavallo, i contatti tra i due gruppi sono stati violenti e ripetuti e alla fine si sono contati oltre una decina di feriti, due dei quali, pur se non in pericolo di vita, in modo molto grave. Si tratterebbe in particolare di antirazzisti aggrediti dagli estremisti di destra con delle armi da taglio.

Malgrado la gravità degli incidenti abbia attirato l’attenzione dei maggiori media statunitensi – dalla Cnn a Fox News per non parlare delle pagine online dei più noti quotidiani del paese – non si tratta di un fatto nuovo in particolare proprio per la California dove – come ricordato in questa occasione dal Los Angeles Times – solo a febbraio in un parco di Anaheim, città della contea di Orange, roccaforte della destra razzista fin dagli anni Sessanta, un analogo raduno di una formazione locale vicina al Ku Klux Klan si era concluso con feriti e arresti.

I gruppi di quello che negli Stati Uniti viene definito con un eufemismo come white nationalism e a cui, in virtù della più assolutà libertà di parola garantita dal Primo emendamento della Costituzione, vengono concessi permessi e autorizzazioni per ogni sorta di manifestazione pubblica, hanno conosciuto in California un nuovo risveglio dapprima dopo la strage compiuta a San Bernardino all’inizio dello scorso dicembre da una coppia di musulmani radicalizzati adepti della jihad. Ma è stato soprattutto grazie alla campagna velenosa condotta da Trump anche su quella tragica vicenda – in quel caso con la proposta di impedire ai musulmani di entrare nel paese -, ripresa di recente dopo la carneficina della discoteca di Orlando, che l’estrema destra ha capito che l’appoggio al candidato repubblicano poteva condurre ad una nuova e inedita visibilità. Così, dopo l’endorsement a favore di Trump annunciato nei mesi scorsi da buona parte dei leader del suprematismo bianco, questa connessione non ha fatto che crescere.

Come ha segnalato Ryan Lenz, responsabile del sito del maggiore centro studi sul radicalismo di destra americano, il Southern Poverty Law Center, proprio il leader del Traditionalist Worker Party, Matthew Heimbach, si era ad esempio già fatto notare negli scontri che avevano opposto i sostenitori di Trump e gli attivisti del movimento Black Lives Matter in California. Secondo Lenz, per questi gruppi anche «senza più cappucci bianchi e croci di fuoco», la mobilitazione a fianco di Trump, «sarà fortissima fino a novembre».