Giorni di calma apparente in Libano, almeno sul versante politico, perché gli scontri con l’esercito, i blocchi stradali e le proteste sono ormai il pane quotidiano. Apparente perché lo stallo politico continua e il governo non è ancora stato formato, ma sono giorni questi decisivi con un livello di scontro più intenso che mai.

Il dollaro, al cambio ufficiale pari ancora 1.515 lire libanesi, dopo aver toccato le 15mila al mercato nero, ha subito un lieve miglioramento (12mila lire) in vista delle dichiarazioni del presidente Michel Aoun di ieri sera: ha accusato pubblicamente la Banca centrale libanese di essere la principale responsabile della crisi finanziaria, ha convocato una riunione straordinaria del governo ad interim e ha chiesto un’indagine legale.

Bassil, genero di Aoun e a capo del suo Movimento patriottico libero, sembra essere volato in Francia per incontrare Macron, ma la notizia non è stata comprensibilmente né confermata né smentita: Bassil, una delle figure più controverse e influenti della politica libanese, oltre a non avere incarichi ufficiali, è stato il politico più preso di mira dalla thaura (rivolta) scoppiata il 17 ottobre 2019.

Dietro il gelo Aoun-Hariri, che da quasi sei mesi impedisce la formazione di un governo – Hariri vorrebbe un governo di tecnici e togliere ai partiti il potere di veto sulle decisioni parlamentari -, ci sarebbe proprio Bassil, già ministro delle Telecomunicazioni, poi dell’Energia e quindi degli Esteri, e inoltre sanzionato il 6 novembre scorso sotto il Magnitsky Act dall’amministrazione Trump per i suoi legami con Hezbollah.

L’Eliseo starebbe quindi lavorando per un riavvicinamento Hariri-Bassil e per una sorta di Doha-bis (che nel maggio 2008 mise fine a una crisi di sicurezza e politica durata 18 mesi), ovvero un tavolo con tutti i rappresentanti politici libanesi per uscire dall’impasse.

Si tratterebbe di un colpo eccellente messo a segno da Macron sia in termini di politica estera, viste le mire francesi di ristabilire l’antica egemonia sul Medio Oriente di cui il Libano sarebbe la porta, sia in termini di prestigio personale.

Ieri il capo della diplomazia francese Le Drian ha messo pressione e ribadito l’accusa già formulata rivolta ai politici libanesi di «crimine di non-assistenza a un paese in pericolo. (…) Questa crisi non è legata a una catastrofe naturale. Questa crisi ha dei responsabili ben identificati».

Tuttavia le dichiarazioni e le indiscrezioni sono contrastanti e ieri il vice-presidente Allouche del Movimento futuro ha fatto sapere che «Hariri non ha alcuna interesse a incontrare Bassil prima della formazione di un governo», ma suggerisce che il tavolo con i capi partito avvenga sotto il patrocinio di Aoun.

Poi c’è il fronte Covid. Ieri 3.120 contagiati e 33 decessi, lieve decremento dopo le strettissime misure di chiusura. Un nuovo coprifuoco per il mese di Ramadan è stato annunciato per evitare assembramenti durante il tradizionale Iftar al tramonto. Prosegue a rilento la campagna vaccinale iniziata il 15 febbraio, su cui però il solito clientelismo getta lunghe ombre.

È ancora fresco lo scandalo sulle vaccinazioni in segreto per Aoun, il suo entourage e alcuni membri del suo partito fuori da ogni protocollo condiviso, mentre i soliti meccanismi di favori sono in moto e ciascun gruppo politico fornisce vaccini attraverso canali diversi ai propri affiliati.

Larghe fasce di popolazione invece, inclusi i quasi due milioni di rifugiati siriani, sono lasciati ad aspettare. Giochi di potere e di palazzo, mentre il popolo è sempre più in balia della crisi e di se stesso.