Si riaccendono gli scontri armati nei Balcani, in Macedonia, con retroscena allarmanti. 70-80 uomini armati – già a fine aprile c’era stato un attacco di miliziani con divise «nere dell’Uck» a Gosince e a dicembre 2014 a Tetovo – ha attaccato sabato mattina con armi automatiche e bombe a mano sedi della polizia a Kumanovo, a 40 km dalla capitale Skopje. Epicentro il quartiere periferico di Divo Naselje, abitato in prevalenza da macedoni-albanesi, da dove in tanti sono fuggiti durante gli scontri. Sono intervenute massicciamente le forze speciali macedoni e la battaglia è durata 30 ore. Alla fine sul campo sono rimasti 8 poliziotti e 14 «terroristi», 37 agenti feriti, senza vittime civili. Sarebbero 27 gli arresti.

Le autorità di Skopje accusano formazioni della guerriglia albanese provenienti dal vicino Kosovo di essere responsabili dell’attacco armato. La conferma è venuta anche da un documento diffuso dai media macedoni, col quale gruppi dell’indipendentismo albanese, compreso l’Uck (protagonista del conflitto armato con la Serbia a fine anni Novanta e alleato della Nato nella guerra «umanitaria» del 1999) parlano di «inizio» di un’offensiva per l’instaurazione della «Repubblica di Illiria».

«La guerra vera e propria – hanno detto – comincerà il 12 maggio». Il premier macedone Nikola Gruevski ha ringraziato ieri le forze di polizia per avere «neutralizzato un pericoloso gruppo armato di una quarantina di uomini ben addestrati, che hanno partecipato ad altre operazioni armate nella regione e in Medio Oriente», uno dei «gruppi terroristi più pericolosi nei Balcani voleva attaccare istituzioni statali, centri commerciali e eventi sportivi, per destabilizzare la Macedonia», ha aggiunto esaltando le forze di polizia «che hanno impedito forse l’uccisione di 8 mila persone».

La battaglia di Kumanovo arriva in un momento di crisi politica acuta in Macedonia – che ha due partiti albanesi, il Dui e il Dpa spesso presenti nelle coalizioni di governo e che ieri hanno fatto appello alla calma – con proteste quotidiane contro il governo nazionalista-conservatore e con l’opposizione socialdemocratica che chiede le dimissioni del premier Gruevski, accusato di aver ordinato intercettazioni su oltre 20 mila cittadini.

Ieri la Nato ha chiesto l’apertura di un’inchiesta sui fatti di Kumanovo – ma forse potrebbe chiedere a Camp Bondsteel, la più grande nuova base militare e d’intelligence Usa d’Europa che si trova in Kosovo, a pochi km da Kumanovo – e «forte preoccupazione» è stata espressa da Osce (con il ministro degli esteri serbo Ivica Dacic presidente di turno), Ue e dai paesi più vicini, Serbia e Kosovo (il primo non riconosce il secondo che si è autoproclamato Stato facendo secessione unilaterale proprio dalla Serbia). Tanto per ricordare che l’instabilità dei Balcani resta irrisolta nonostante la guerra Nato di 16 anni fa.

Qual è il retroscena degli scontri di Kumanovo? Viene da chiederselo perché nei Balcani la verità è almeno doppia, anche alla luce del fatto che alcuni abitanti albanesi del quartiere di Divo Naselje smentiscono le autorità dichiarando che «lì non c’era nessun terrorista». La popolazione della Macedonia è di circa due milioni di abitanti e per il 25% di etnia albanese, incidenti con gli slavo-macedoni e con i serbi – componente del Paese – sono frequenti.

Ma nel 2001 la Macedonia fu sconvolta dalla guerra dei separatisti albanesi dell’Uckm; erano , appoggiati dagli indipendentisti del Kosovo (Uck) e ci furono più di mille morti. Quel conflitto, che finì con la difficile pace di Ohrid, derivava dal Kosovo, modello di coinvolgimento armato internazionale e chiamava in causa il nazionalismo albanese nell’area. Perché Uck non vuol dire Esercito di liberazione del Kosovo ma è l’acronimo albanese di Ushtrimje Climtare Kombetar, vale a dire Esercito di liberazione nazionale, di tutti gli albanesi; la cui leadership non è nata in Kosovo ma a Tetovo, seconda città macedone con tanto di Università indipendente. È l’irredentismo albanese che ritroviamo anche nel Precevo, nel sud della Serbia.

Certo è già accaduto in passato che le autorità di Skopje si siano inventate presenze terroriste con operazioni di polizia che hanno fatto vittime che altro non erano che famiglie malavitose. Stavolta appare più credibile invece l’infiltrazione dal Kosovo di miliziani nazionalisti, piuttosto che il «solito» allarme dello jihadismo pur presente nei Balcani. Del resto dei due qui, nel buco del culo del sud-est europeo, non si sa davvero chi sia più pericoloso. Quali forze muovono ancora il nazionalismo albanese?

Intanto, irresponsabilmente il premier di Tirana Edi Rama che solo un mese fa ha dichiarato: «L’unificazione degli albanesi di Albania e Kosovo è qualcosa di inevitabile e indiscutibile». Poi c’è Hashim Thaqi, ex leader indiscusso dell’Uck, ex primo ministro del Kosovo, ora sempre nelle fila del governo: l’Ue (anche se nel caos della missione Eulex), il Consiglio d’Europa, l’ex procuratore dell’Aja Carla Del Ponte, l’Onu e settori dell’Amministrazione Usa, chiedono che sia processato insieme ai leader dell’Uck per crimini di guerra, in particolare per un delitto orrendo sempre meno occultabile: l’avere organizzato un sistema di espianto di organi a un centinaio di civili serbi sequestrati per finanziare la guerriglia. Lo scontro è su chi processerà, se lo processeranno, Hashim Thaqi: se l’Onu come chiedono Carla del Ponte e Consiglio d’Europa oppure l’improbabile Eulex e la screditata magistratura locale.

Se insomma viene il sospetto che a Kumanovo si sia realizzato un agguato agli «attesi» miliziani illirici da parte delle forze governative, dall’altro è forte la convinzione che Hashim Thaqi, il vero manovratore delle milizie albanesi armate nell’area, anche lui per allontanare da sé il tribunale che lo insegue, ricattando Usa, Nato e Ue – solo tre settimane fa Mogherini era a Pristina senza risolvere alcunché – abbia mosso la «pedina Kumanovo».

Proprio lì infatti nel giugno del ‘99 venne firmata la pace tra Nato e Serbia. E proprio mentre Belgrado è sottoposta di nuovo al diktat europeo: non entrate nella Ue se non riconoscete il Kosovo come stato indipendente.

E pensare che anche cinque paesi europei (Grecia, Spagna, Romania, Slovacchia e Cipro) non lo riconoscono. Il presidente serbo Nikolic sabato scorso ha dichiarato che «solo gli schiavi potrebbero sottostare a questo ricatto». Le micce sono tutte accese. Compresa la grande migrazione di giovani albanesi dal Kosovo nell’ordine di 20mila al mese dall’inizio dell’anno.