Sono almeno 167 in Oromia le persone uccise durante le proteste esplose dopo l’omicidio del cantante Hachalu Hundessa. Le fonti locali parlano di 154 civili, 9 poliziotti e 4 membri della milizia regionale morti negli scontri. 229 i feriti. Oltre 4 mila gli arresti.

Il cantautore freddato a colpi d’arma da fuoco nella sera del 29 giugno era popolare per le sue canzoni, colonna sonora della rivolta che ha portato alla caduta del governo Desalegn nel 2018. Alle proteste dilagate subito dopo l’omicidio si è aggiunto un tentativo di rapimento del corpo dell’artista, che ha infine raggiunto in elicottero Ambo, dove era nato 35 anni fa, per la sepoltura.

Il primo a finire in cella, insieme a 34 collaboratori che hanno partecipato al tentativo di dirottare la salma di Hundessa per seppellirla a Addis Abeba, è il proprietario del canale tv Oromo Media Network, Jawar Mohammed, leader politico, esiliato negli Stati uniti dal precedente governo e tornato in patria su invito dello stesso Abiy Ahmed nel 2018.

Nel processo fissato per il 16 luglio (il 9 luglio secondo il calendario etiopico) è accusato di aver ucciso un poliziotto nello stesso frangente e di essere l’artefice di un piano per creare tensioni tra i diversi gruppi etnici, con l’obiettivo di far cadere il governo.
Non sarebbe una novità, dopo la prova di forza avvenuta durante le proteste del 23 ottobre 2019, dove i sostenitori di Jawar Mohammed sono accusati di aver provocato 86 morti e 800 feriti nella regione Oromia e Harari, a est di Dire Dawa e nella capitale. Le violenze sono divampate dopo alcuni post su Facebook in cui il tycoon invitava i suoi seguaci all’azione, in quanto il governo stava cercando di eliminarlo. Il totale blocco di internet, sostiene il governo, è una misura drastica ma necessaria per fermare questo tipo di istigazioni alla violenza.

Intanto l’epidemia di Coronavirus procede silenziosa. I dati ufficiali parlano di circa 6.600 casi e 81 vittime. Possono sembrare pochi per un paese di 100milioni di abitanti, ma sono decisamente troppi per l’agenzia internazionale di valutazione del credito e rating Fitch, che il 30 giugno ha declassato l’Etiopia alla classe B a causa della scarsa capacità di fronteggiare un possibile dilagare dell’epidemia.
A cambiare le sorti del paese, ne è convinto il governo, sarà il riempimento della Grand Ethiopian Renaissence Dam, l’immensa diga sul Nilo che con la sua centrale elettrica produrrà l’energia per accendere le lampadine e i computer dell’intero paese, fornendo oltre 6mila megawatt al sistema economico nazionale e ai cittadini che vedrebbero così i primi frutti del benessere tanto promesso.

Martedì scorso Abiy Ahmed ha annunciato di voler procedere al riempimento della diga entro il mese di luglio, a margine della stagione delle piogge che renderebbe il processo più veloce. Resta la forte contrarietà di Egitto e Sudan, di fronte al concreto rischio desertificazione per alcuni territori del bacino del fiume. I due paesi, ormai sul piede di guerra, accusano l’Etiopia di aver già iniziato la fase di riempimento. Secondo voci di corridoio, il conflitto interno e quello esterno con Egitto e Sudan potrebbero essere collegati.