Sono definiti «incidenti di massa» e il loro numero è considerato un segreto di Stato. Ogni anno, secondo alcune ricerche, sarebbero almeno 180mila e negli ultimi tempi le proteste ambientali avrebbero superato quelle relative al mondo del lavoro e ai diritti della terra e sarebbero aumentate di oltre il 120 percento.

E da domenica manifestazioni, che in Cina sono vietate previo permesso governativo, sono in corso in gran parte del Guangdong, regione sudorientale cinese, che da sola contribuisce a un quinto delle esportazioni nazionali. Il centro degli scontri,violentissimi tra manifestanti e polizia, è stata Maoming. L’oggetto della contestazione è una fabbrica petrolchimica dell’azienda statale Sinopec: a detta dei cittadini produrrebbe paraxilene e rischierebbe di inquinare tutta la zona.

La risposta della polizia è stata durissima: su Weibo, il Twitter cinese, sono state «postate» foto di feriti e cariche. Secondo alcuni degli organizzatori ci sarebberto stati anche dei morti, negate dal governo regionale: quattro secondo alcuni, quindici secondo altri. La protesta si è poi diffusa anche a Canton, il capoluogo.
Quando si parla di inquinamento in Cina, ci si riferisce quasi sempre allo smog delle grandi città, ma uno dei problemi più urgenti del Dragone, sono invece le tante fabbriche chimiche inquinanti, che mettono a serio rischi corsi d’acqua, ambiente e terra, con successivi rischi per la sicurezza degli abitanti delle zone circostanti, anche per quanto riguarda il cibo.

La questione ambientale è tornata di attualità in Cina alcune settimane fa, quando la più grande agenzia di viaggi online della Cina, Ctrip International, con il gigante assicurativo Ping An Insurance ha iniziato a vendere assicurazioni di viaggio sullo smog. Non solo, perché anche i giapponesi della Panasonic, in un gesto considerato ineducato da parte dei cinesi, hanno provveduto a pagare ai propri dipendenti inviati in Cina un premio di compensazione per i livelli pericolosi di inquinamento.

Le proteste di Maoming, inoltre si pongono su una traiettoria in corso da tempo: le contestazioni rispetto a questioni ambientali, infatti, sono «consentite» in Cina, perché non mettono in discussione la centralità del Partito, quanto una pratica che la leadership stessa sta perseguendo, ovvero la diminuzione dei livelli di inquinamento nelle città cinesi. Non a caso alcune di queste clamorose proteste hanno contribuito alla chiusura di impianti considerati inquinanti, diventando dunque esperienze di successo. Del resto, né l’operaio, né il funzionario, vogliono fare crescere i propri figli in luoghi a rischio.

Allo stesso tempo però, non vengono tollerate proteste violente: non a caso dopo la manifestazione di Maoming, i censori hanno provveduto a cancellare i contenuti dal web e i giornali filo governativi si sono scagliati contro le «violenze» dei manifestanti. Secondo quanto riportato dal Financial Times, «Centinaia di manifestanti sono scesi nelle strade di Canton, per sostenere i residenti della città di Maoming, dove le autorità intendono costruire un impianto per la fabbricazione del paraxilene chimico tossico (px). Uno degli organizzatori della protesta di Guangzhou ha detto che la polizia ha arrestato nove dimostranti martedì, anche se uno è stato poi rilasciato per motivi medici. Ha aggiunto che gli avvocati e i familiari non erano stati autorizzati a visitare i manifestanti arrestati».

E ieri la protesta è arrivata anche nella megalopoli di Shenzhen, ma Zhou Peizhou vice direttore della pubblica sicurezza di Maoming, ha spiegato che alcuni agenti di polizia sarebbero feriti, ma ha negato la morte di quindici persone, diffusa attraverso i social network. Secondo le versioni degli ufficiali cinesi, quindici persone sarebbero invece ferite, ma in condizioni stabili. La polizia ha inoltre comunicato di aver arrestato diciotto persone, accusate di «disturbo dell’ordine sociale».