La comunità sciita di Baghdad è tornata in piazza, come accaduto nei mesi precedenti. Questa volta però il conto dei morti è più alto, foriero di tensioni ormai palesi e potenzialmente distruttive in un paese in guerra permanente.

Con l’esercito governativo impegnato a Mosul, sabato migliaia di sostenitori del religioso sciita Moqtada al-Sadr sono scesi in piazza e hanno tentato l’assalto alla Zona Verde, area fortificata nel cuore della capitale, sede di istituzioni nazionali e ambasciate straniere, ma soprattutto simbolo del gap tra i vertici e la base.

Tra la corruzione esplosiva che impedisce la ricostruzione a 14 anni dall’inizio della seconda guerra del Golfo e la miseria di un popolo sempre più diviso in sette e etnie, oppresso dall’assenza di servizi e i continui tagli di acqua e elettricità.

Dopo i duri scontri tra polizia e manifestanti e il lancio di razzi Katyusha verso la Zona Verde, il bilancio finale è di sei vittime (5 civili e un poliziotto) e quasi 200 feriti: i poliziotti non si sono “limitati” a disperdere la folla con i gas lacrimogeni, ma hanno aperto il fuoco, come confermato anche dal Ministero degli Interni.

In piazza Tahrir sono andati per chiedere riforme concrete contro la corruzione dilagante e il cambiamento del sistema di monitoraggio elettorale.

A capo della protesta c’è di nuovo al-Sadr: il religioso, leader dell’Esercito del Mahdi impegnato il decennio scorso contro l’occupazione Usa, da mesi tenta di porsi come il capo di un fronte nuovo, anti-settario e nazionale. Prima spostando il suo quartier generale da Najaf a Baghdad, poi dando vita ad un comitato di esperti sciiti, sunniti e kurdi che presentino proposte di riforme e lo elevino a potenziale leader di tutto l’Iraq.

Ovvio che dirompenti sono gli effetti sulla leadership sciita, già frantumata in centri di potere opposti, da quello rappresentato dall’ex premier al-Maliki a quello dell’attuale primo ministro al-Abadi, entrambi membri del partito Dawa.

A far esplodere ufficialmente la protesta è la Commisione elettorale, organo che monitorerà il voto provinciale previsto per settembre e che i sadristi considerano più favorevole ad al-Maliki.

Sullo sfondo i due poli di potere riconducibili al religioso e all’ex premier (che controlla una parte consistente delle potenti milizie sciite impegnate a Mosul) e che escludono l’attuale, privo di una base popolare di consenso e nominato per il suo ruolo di mediatore tra gli interessi Usa e quelli iraniani.

Indicativa a tal proposito è la debolezza della reazione alle nuove manifestazioni: al-Abadi si è limitato a chiedere cautela e a promettere l’apertura di un’inchiesta.

Dopo l’uccisione dei cinque manifestanti, è invece al-Sadr a mandare il suo personale messaggio a Baghdad: «Il loro sangue non andrà sprecato». E ieri è tornato sulla protesta e la sua violenta repressione, con una previsione inquietante, ma che è già realtà: «Nero è il futuro dell’Iraq».