La pacificazione nazionale in Libia è utopia. All’alba di ieri Tripoli è stata teatro del fuoco incrociato di due gruppi armati rivali, le milizie di Misurata e quelle a sostegno del parlamento islamista insediatosi nella capitale da due anni.

E dopo l’auto-nomina del governo di unità nazionale, ieri a parlare sono state le milizie riunite sotto l’ombrello del Libya Revolutionaries Operations Room (Lror, guidato da Nouri Abusahmain, presidente del General National Congress, il parlamento di Tripoli). I leader delle milizie affiliate hanno avvertito il premier designato al-Sarraj: «Siamo pronti a lanciare una guerra contro il gruppo di Fayaz al-Sarraj se verrà a Tripoli e contro chiunque lo protegga». Tra queste le milizie di Misurata che dalla notte di venerdì hanno lanciato un’operazione a difesa del governo di unità. Da cui gli scontri con le milizie nemiche.

Non meno ostile è il parlamento di Tobruk, riconosciuto il solo legittimo dalla comunità internazionale, che alza la voce proprio contro quei paesi che ne dovrebbero essere alleati. Le dure parole del comunicato del governo al-Thinni lasciano l’Europa nuda: «Con un atto senza precedenti alcuni paesi cercano di imporre il governo di intesa nazionale libico senza l’approvazione del parlamento. Una violazione della sovranità libica e dei principi di democrazia».

Il problema è che la Libia non esprime un’unica sovranità: la debolezza delle istituzioni parlamentari rivali è lo specchio della frammentazione del paese e dell’incapacità di un potere di prevalere sull’altro. Nonostante ciò i parlamenti rivali minacciano: se la comunità internazionale dialogherà esclusivamente con il premier designato al-Sarraj (l’obiettivo di un Occidente a caccia del via libera all’intervento militare), sarà guerra totale.