Acuite dalla disoccupazione dilagante causata dal coronavirus – sono oltre un milione gli israeliani che hanno perduto il lavoro per il crollo del turismo e lo stop di gran parte delle attività produttive –, crescono le tensioni sociali in Israele. Dopo gli incidenti dei giorni scorsi tra polizia e le correnti massimaliste dei religiosi ebrei ultraortodossi, accusati di non rispettare il distanziamento sociale necessario per combattere la diffusione dell’epidemia, ieri sono scoppiati scontri a Giaffa, accanto a Tel Aviv, dopo che la polizia aveva arrestato alcuni passanti arabi (palestinesi) con l’accusa di aver ignorato l’intimazione di restare nelle proprie abitazioni. Gruppi di dimostranti si sono radunati nel centro della città e hanno dato fuoco a cassonetti e a pneumatici scontrandosi con reparti antisommossa. Centinaia di soldati inoltre sono stati dispiegati a sostegno della polizia in varie località di Israele.

 

Intanto l’emergenza coronavirus non ha portato alla soluzione della paralisi che domina la politica israeliana dalla fine del 2018. Nonostante la scelta di campo a favore di un governo di unità nazionale con il premier di destra Benyamin Netanyahu – che ha causato il dissolvimento del suo partito (Blu Bianco) – l’esponente centrista ed ex capo di stato maggiore Benny Gantz non pare vicino a raggiungere un’intesa con il Likud di Netanyahu. Non è esclusa una rottura impensabile fino a qualche giorno fa. I contrasti sono frutto dell’incertezza intorno alle decisioni dell’ex generale. Non è chiaro se Gantz appoggerà subito l’annessione unilaterale a Israele della Valle del Giordano e degli insediamenti coloniali ebraici in Cisgiordania, avallata dal piano presentato il 28 gennaio dall’Amministrazione Trump. Un punto centrale per il blocco di destra guidato da Netanyahu. Gantz minaccia di riprendere alla Knesset l’iniziativa per far approvare la legge che impedisce a Netanyahu, formalmente incriminato, di diventare capo di un nuovo esecutivo.

 

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