Tarantino nella Hollywood di Charles Manson, un omaggio a George Romero firmato da Jim Jarmush, un Malick tedesco e un film francese girato in Portogallo dal newyorkese Ira Sachs – i registi americani in concorso a Cannes 2019 spaziano tra Sintra, la parte nord dello Stato di New York, le Dolomiti e Mullholand Drive; tra il Terzo Reich, la coda insanguinata dei Sixties, il postapoclittico e una foresta forse incantata contemporanea.

Solo qualche mese fa, prima di Once Upon a Time in Hollywood (un titolo che evoca Sergio Leone e suggerisce l’ambizione di catturare uno zeitgeist; per un trailer molto vintage), Mary Harron aveva raccontato la storia di Leslie van Houten, Marie Brunner e Patricia Krenwinkel, esplorando la bizzarra dipendenza psicologica da Charles Manson che porto’ tre ragazze della middle class USA a massacrare dei perfetti sconosciuti – Charlie Says é un film «d’epoca» folgorantemente contemporaneo. Mentre Orson Welles, appena affacciandosi sulla decade successiva, aveva catturato con sublime ferocia l’istantanea di un’America e di un cinema sull’orlo del crollo di nervi, in The Other Side of the Wind. E anche James Franco sta lavorando da anni a Zeroville, un affascinante progetto ambientato nella Hollywood di quel periodo.

In attesa di Cannes, negli States del #MeToo ci si chiede quanto Tarantino rischierà (o glisserà ) nella rappresentazione di un’epoca oggi diventata scomoda, inassimilabile al nostro clima di neo-moralismo culturale (il film di Mary Harron, per esempio, è stato giudicato troppo poco PC, troppo ambiguo). E mentre, nella sezione Classici, una proiezione per il 50esimo anniversario di Easy Rider offrirà il paragone diretto tra la fonte originale e la sua revisione tarantiniana, con Leonardo di Caprio e Brad Pitt, sembra un’ironia interessante (e preoccupante) che Roman Polanski appaia sugli schermi della Croisette nel film di Tarantino (interpretato da Rafal Zawierucha), ma non con il suo ultimo lavoro, sul caso Dreyfuss.

Arriva da un personaggio realmente esistito anche il nuovo film di Terrence Malick, A Hidden Life. La vita nascosta del titolo quella dell’obbiettore di coscienza Franz Jagerstatter (l’attore August Dihel), giustiziato a trentasei anni, nel 1943, per aver rifiutato di servire il Terzo Reich. Anticipato dal regista come il suo lavoro piu’ «scritto» e drammaticamente «costruito» da anni a questa parte, insieme a un cast denso di giovani attori europei, A Hidden Life ci regalerà una delle ultime apparizioni di Bruno Ganz.

Con The Dead Don’t Die -il film d’apertura del festival, che esce in Francia in contemporanea- Jarmush torna al fantastico, un genere che aveva usato in chiave quasi autobiografica in Only Lovers Left Alive. Dopo i vampiri è la volta degli zombie, in un film che -a detta del regista è un omaggio esplicito ai morti viventi di Romero (vi è riprodotto persino, grazie a lunghe indagini visto che il film era in bianco e nero, il colore della macchina di The Night of the Living Dead) . Girato Upstate New York dove Jamush e Sara Driver hanno una casa, il film evoca un’aria di home movie. Contrariamente ai ghouls di Romero, quelli di Jarmush sono però in grane parte nomi celebri -Adam Driver, Bill Murray, Sara Driver, Igg Pop Rosie Perez, Tilda Swinton, Danny Glover….

Sceneggiato da Ira Sachs insieme al brasiliano Mauricio Zacharias, Frankie è un film francese avvolto nelle brezze magiche del Portogallo e filtrato dallo sguardo nitido e luminoso del direttore della fotografia portoghese Rui Pocas (Zama, di Lucrecia Martel; Introduzione all’oscuro, di Gaston Solnicki) su colori che ricordano un quadro di David Hockney. Isabelle Huppert (la Frankie del titolo, e un’attrice famosa) convoca enigmaticamente la sua famiglia per una vacanza nelle foreste intorno a Sintra.