Nell’Italia della crisi e dell’«inciucio» ci mancava proprio una piazza operaia, e oggi la Fiom riempirà le vie di Roma con la sua lotta e le sue proposte. Il sindacato guidato da Maurizio Landini non solo ha elaborato una piattaforma di netta opposizione ai tagli e all’austerity previsti dal governo Letta, ma anima in tutta Italia un’instancabile battaglia contro la crisi: per soffiare le fabbriche dal buco nero della cassa integrazione, dei licenziamenti e delle chiusure. Oggi con le tute blu scenderanno in piazza associazioni di precari, studenti, movimenti della società civile. Insieme a pezzi di partiti: dal Pd al M5S, da Sel al Prc. Noi abbiamo scelto di dare il benvenuto a tutte queste persone, raccontando tre storie simbolo.

Franco Tosi, vivere o morire

La Franco Tosi di Legnano è un’azienda storica, fondata a fine Ottocento: oggi produce turbine per le centrali elettriche, ma in passato possedeva i cantieri navali che costruivano sommergibili. Negli anni Ottanta aveva 6 mila dipendenti, oggi si è ridotta a 420 e sta quasi morendo. «È un peccato – dice Diego Colombo, delegato Fiom – perché produciamo macchine davvero belle: 1500 nostre turbine sono in tutto il mondo». «La metà di noi è in cassa, ormai da 7 anni. Gli ordini sono al lumicino, ci restano solo 3 turbine per il Brasile e 2 per il Perù. L’ultimo anno abbiamo fatturato 50 milioni di euro, quando potremmo farne oltre 200». I proprietari della fabbrica, l’indiana Gammon e i Castiglioni di Varese non investono, e stanno tergiversando nella vendita perché vogliono massimizzare i profitti: il debito si aggira sui 150 milioni di euro. «Ci sarebbe un acquirente, la Termomeccanica di La Spezia – spiega l’operaio – Ha detto che salverebbe tutti i posti, mentre altre ipotesi porterebbero a licenziare 300 persone, o, peggio, al fallimento. Visto che 60-70 milioni di debito sono con Equitalia e Inps, chiediamo al governo di convincere gli azionisti a cederci a Termomeccanica».

Lucchini, l’incognita dell’acciaio

Mirko Lami è un dipendente della Lucchini di Piombino, la seconda acciaieria italiana a ciclo integrale dopo l’Ilva di Taranto. I dipendenti sono 3200, inclusi gli stabilimenti di Trieste, Lecco e Condove (Torino). Un «tesoro» che rischia di scomparire, visto che da dicembre scorso il gruppo è in commissariamento straordinario: «Il 20 luglio il giudice dovrà decidere – spiega Lami, che è delegato Fiom – se dare altri sei mesi di commissariamento ordinario o se avviarci verso l’esaurimento della produzione. Alla fine di questo percorso rischiamo di fallire. È davvero incredibile, se si pensa che produciamo rotaie per la Tav e l’acciaio per il cemento armato antisismico. Ma manca una politica industriale, e il siderurgico italiano rischia di sparire». La Fiom propone un’integrazione con l’Ilva: «Potremmo produrre noi parte delle bramme che Taranto, per ridimensionarsi, non farà più. I suoi coils poi andrebbero a Genova e Novi Ligure. E dico di più: se anche a Piombino producessimo i coils, li potremmo vendere alla Magona, del gruppo Mittal, che è sempre a Piombino: così risparmierebbe nei trasporti, invece di rifornirsi, come fa oggi, in Belgio». Insomma, dal «genio» operaio, dopo i più famosi ortaggi a km zero, spunta l’acciaio a km zero. «L’Italia la salviamo noi», potrebbero dire a buon diritto.

Ddway, informatici in vendita

Giuseppe Abiuso è un delegato Fiom della Ddway, azienda informatica venduta dalla multinazionale Usa Csc all’italiana Deda Group. Ieri i dipendenti Ddway hanno scioperato contro il piano della nuova proprietà, che vuole licenziare ben 294 addetti su un totale di 974. La gran parte degli «esuberati» è concentrata nelle sedi di Roma (112 persone su 328) e Torino (119 su 310). Un disastro, perdere il lavoro oggi, nell’apice della crisi. «Il problema – spiega Abiuso – è che committenti pubblici come Inps, Inail o Poste reinternalizzano i servizi o tagliano a causa della spending review. Per non parlare dei privati, banche e industrie: da Generali a Intesa, da Bnl a Fiat, è tutto un taglio». E così le commesse, sempre più risicate, non riescono a coprire i costi del lavoro, generando gli «esuberi». Ora si spera che la trattativa, appena iniziata, eviti i licenziamenti.