Edifici fatiscenti e strade polverose, un furgoncino che vende frutta e verdura, mentre su un balcone una giovane donna stende il bucato. Così inizia Bota Cafè, opera prima diretta da Thomas Logoreci e Iris Elezi. Dalla desolazione post-apocalittica degli esterni si passa all’interno di un soggiorno dove la giovane donna che stendeva i panni prende le forme di Juli, costretta a vivere in uno di questi palazzi che sembrano popolati da spettri, con la nonna Noje, la quale seduta davanti a una televisione scassata scambia la nipote per la figlia Alba, vero e proprio fantasma per tutta la durata di un film la cui storia, se non fosse per una manciata di dialoghi e la lingua parlata, potrebbe essere ambientata ovunque, in un’epoca indefinita.

In realtà questo, piccolo film vuole riportare all’attenzione dello spettatore la non tanto passata storia albanese. Il paese nel mezzo del nulla dove vive Juli, è un non luogo che fu creato dal regime comunista per internare i dissidenti politici, e anche per farli fuori e seppellirli nelle fosse comuni. A distanza di anni, scomparso il regime, con le vittime definitivamente precipitate nell’oblio della memoria, sono rimasti i poveri, quelli senza mezzi per andarsene e ai quali è toccato in sorte vagare come delle anime intrappolate in un limbo.

Unico elemento di discontinuità, almeno visivamente, è il Cafè Bota, che nella versione italiana dà il titolo al film, mentre in quella originale gli autori avevano scelto in modo più secco Bota, che in albanese significa mondo. Al di là di una scelta che vorrebbe rendere più accattivante una storia dai toni molto sommessi, associare il «mondo» con un luogo d’incontro, «il Cafè», travisa il senso di un racconto nel quale la dimensione dello stare insieme viene continuamente negata. Quel mondo è un luogo di persone scomparse, dove un investigatore recupera i resti per dare un’identità ai cadaveri. Ed è anche un luogo scisso dal resto del paese e, non a caso, un ingegnere italiano e un operaio albanese lavorano alla costruzione di un’autostrada.

Scoprire una verità e poter percorrere una via di fuga, però, non rappresentano la soluzione per delle persone le cui esistenze sono definite da uno dei protagonisti, «danneggiate». A dirlo è Ben, cugino di Juli, proprietario del locale dove lavorano Nora, l’amante, e la stessa Juli. Proprio Ben e Nora, che hanno un ruolo decisivo nella storia, fanno sentire il peso di un cinema che si è logorato a forza di proporre i soliti personaggi, dall’uomo in cerca di soldi per coprire i debiti e che affida le proprie restanti emozioni a qualche scopata clandestina in una macchina, e una giovane donna apparentemente esuberante che ancora crede che la realizzazione di un sogno passi attraverso la parola di un uomo.