Seducenti e sofisticate. Capricciose, disubbidienti, umili o umiliate (e infine riscattate). Oppure «vamp», che sta per «vampira», termine assai in voga tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento per identificare il prototipo della femme-fatale: mangiatrice di uomini perversa e priva di scrupoli, armata di un fascino languido e irresistibile.
Che appartengano a un preciso «modello» femminile o che invece compiano ogni sforzo per rompere schemi precostituiti, le donne spadroneggiano alla trentaseiesima edizione delle Giornate del Cinema Muto, di scena fino al 7 ottobre a Pordenone.

Tra le candide superfici marmoree che circondano il Teatro Verdi e i velluti rossi delle sue poltrone, il Festival ospita quest’anno una quota maggioritaria di rappresentanti del gentil sesso: da Louise Brooks a Pola Negri, da Anna Fougez a Theda Bara. E una truppa di anonime «nasty women» – come le chiamerebbe Donald Trump – scomode, trasgressive, indisciplinate protagoniste di brevi frammenti comici che mirano in certa misura a sovvertire il potere maschile e le norme sociali basate sul genere.

Il direttore delle Giornate Jay Weissberg ha calato il suo asso, ieri, restituendo al pubblico, in anteprima internazionale, un frammento di 23 minuti (restaurati su pellicola) del film Now We’re in the Air. Pochi fotogrammi molto speciali risalenti al 1927, riscattati dall’oblio dallo storico Robert Byrne, presidente del San Francisco Silent Film Festival, che li ha rinvenuti nell’archivio di Praga. Preziosi perché includono la presenza magnifica e carismatica di una delle star più iconiche di tutta la storia del cinema: Louise Brooks, con il suo inconfondibile capello a caschetto (che ispirò la Valentina di Crepax) e un tutù nero mozzafiato. La sua immagine resiste al tempo, sempre modernissima.

L’indimenticabile Lulù del film Il vaso di Pandora di G.W. Pabst, dark-lady dell’estetica espressionista che impose il suo look corrosivo a cavallo degli anni Venti e Trenta, sensualissima, provocante, con l’aria al tempo stesso ingenua e innocente, non ha mai fatto mistero di sé.
Nata nella provincia del Kansas, con un passato di ballerina nelle Ziegfeld Follies a Broadway, si professava «sessualmente libera» e i numerosi love affair, oltre alle frequentazioni di amiche dichiaratamente omo o bisessuali, non facevano che alimentare la leggenda di una donna emancipata e curiosa anche sotto le lenzuola.

Nel 1927, anno di produzione di Now We’re in the Air, l’attrice allora ventunenne muoveva solo i primi passi nel mondo del cinema, ancora destinata a ruoli di secondo piano. Dei quattro film cui partecipò durante il suo secondo anno a Hollywood, i pochi minuti proposti alle Giornate sono gli unici superstiti. La Brooks, che nel film interpreta due gemelle, si vede solo in una breve ma folgorante apparizione, sufficiente a restituirne intatto il magnetico carisma.

A tutt’altro genere appartiene invece il fascino esotico e decadente di Pola Negri, rivale di Gloria Swanson, amante di Charlie Chaplin e di Rodolfo Valentino, colei che amava definire se stessa «la prima vamp del cinema, e la migliore».
Polacca di origini misteriose (persino sulla data di nascita non vi è certezza) e cresciuta in miseria, Barbara Apollonia Chalupec scelse il suo nome d’arte in omaggio alla scrittrice italiana Ada Negri. Nel 1917 si trasferì a Berlino su invito dell’impresario Max Reinhardt e solo successivamente, nel 1923, sbarcò a Hollywood, affermandosi in breve tempo come la diva per eccellenza della Paramount.

Le Giornate le rendono omaggio con tre film del periodo tedesco, tutti datati 1918: Carmen, dove recita diretta da Ernst Lubitsch, Mania di Eugene Illés e Der Gelbe (La tessera gialla) di Victor Janson e Eugene Illés. In questo film (accompagnato dal vivo – in una toccante performance – dalle note violinista klezmer Alicia Svigals e dalla pianista Marilyn Lerner) l’attrice interpreta una giovane ebrea costretta dalla polizia di San Pietroburgo a chiedere la «tessera gialla», disonore riservato alle prostitute e agli ebrei. La vicenda dai toni marcatamente melò ha però un lieto fine. I meriti della ragazza, brillante studentessa in medicina nella Russia dello Zar, saranno riconosciuti, così come sarà scagionata dall’«infamia» della razza, riscattata dal vero padre perduto e ritrovato.

Quando si parla di «vamp» non si può non nominare la scandalosa Theda Bara (anagramma di «arab death», morte araba), icona della femmina fatale del cinema statunitense lanciata alla fama nel 1915 dal film di Frank Powell A Fool There Was (La Vampira), così come è impossibile trascurare, nel suo corrispettivo italiano, la «sciantosa» tarantina Anna Fougez, al secolo Maria Anna Pappacena. Dei film da lei interpretati rimane solo l’incompleto Fiore selvaggio, del 1921, di e con Gustavo Serena. Ma oltre a ciò che resta del film, Pordenone ospita anche una piccola mostra che comprende alcune riproduzioni di fotografie che ne riportano, evidente, l’aura dannunziana.

L’esercito femminile schierato al Muto, però, non si esaurisce tra dive e divine. Vi sono anche donne avventurose, affascinate dal mito del viaggio e della scoperta. Appartengono a questo filone le aviatrici di L’autre aile – film del 1924 di Henri Andreani – ispirate alla figura di Raymonde de Laroche, prima donna a solcare i cieli con il suo brevetto di volo ottenuto nel 1910.

Il film, presentato in anteprima mondiale nel restauro della Cinémathèque française, è stato preceduto da quattro cinegiornali dell’epoca in omaggio ad altrettante donne aviatrici: oltre alla de Laroche, Adrienne Bolland, Hélène Dutrieu, Marie Marvingt.
E, infine, le inarrestabili «nasty women», appunto. Che si rifiutano di portare i condimenti a tavola (giocando sul doppio senso del termine inglese «undressed»), rompono i piatti, avvelenano mariti noiosi e gettano volontario e involontario scompiglio dentro e fuori casa, con spensierata e furibonda anarchia