Non sono Orbán e Salvini il pericolo che l’Europa ha di fronte. Le idee sovraniste hanno preso il centro della discussione politica raccogliendo un crescente e pericoloso consenso, semplicemente perché il progetto europeo è entrato in crisi di fronte alle sfide aperte da una economia sempre più globalizzata, in cui sono cresciute le diseguaglianze, e in cui prevale la paura di fronte a processi di migrazione sempre più rilevanti dovuti a guerre, miseria e impatti climatici. È da qui che dobbiamo partire per andare al cuore dei problemi che hanno reso le istituzioni europee sempre più distanti dalle preoccupazioni e aspirazioni dei cittadini, fino a essere percepite come inutili o distratte dai giochi di potere, proprio quando il mondo si trova ad affrontare cambiamenti climatici, sociali e tecnologici senza precedenti.

In un quadro di questo tipo non basterà denunciare i muri e i respingimenti o contrastare chi alimenta le paure. E non sarà sufficiente nemmeno rivendicare quanto di straordinario l’Europa è riuscita a costruire dopo le terribili guerre. Perfino in campo ambientale, dove pure noi italiani dobbiamo alle Direttive europee larga parte delle regole per ridurre l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, per la spinta alla raccolta differenziata e alle fonti rinnovabili, ora serve fare molto di più e in fretta.

Il confronto urgente da aprire riguarda il rilancio del progetto europeo e le scelte da prendere per rispondere ai problemi del lavoro e della coesione sociale nei territori e, al contempo, per alzare l’asticella sul piano dei diritti dei cittadini e degli obiettivi di convivenza e di pace su cui è fondata l’Unione europea.

Oggi è la chiave del clima la più adatta a leggere l’intreccio dei problemi del Mondo in cui viviamo e per tracciare una rotta per un futuro diverso. L’Europa ha una chiara scelta di fronte: rilanciare la sua economia rendendola sempre più decarbonizzata e circolare, come ricetta per rilanciare i territori, valorizzare il patrimonio delle città e l’agricoltura locale e biologica, mettendo assieme innovazione ambientale e sociale. Una lettura di questo scenario è contenuta in un volume dal titolo Un green new deal per l’Europa. Idee e sfide per rilanciare il progetto europeo in cui Legambiente, come contributo al confronto elettorale, ha raccolto idee e contributi diversi – da Fabrizio Barca a Bas Eickout, da Oxfam all’Asvis – per ragionare delle scelte indispensabili per rispondere alle grandi questioni del lavoro, delle migrazioni e delle disuguaglianze. In che modo? Ridisegnando la fiscalità in chiave green (differenziando l’Iva, introducendo una carbon tax ed eliminando i sussidi alle fonti fossili) per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, accelerando nelle politiche di adattamento al clima e rilanciando la cooperazione internazionale mettendo al centro un progetto per il Mediterraneo e per l’Africa che vada oltre gli interessi dei singoli Stati e delle imprese, come continuiamo invece a vedere dalla Libia all’Egitto.

Altro che muri e dazi, l’Europa deve avere il coraggio di prendere decisioni più incisive in campo economico e al contempo rilanciare sul piano dei diritti e sulle politiche di integrazione. Non è un problema di risorse o di consenso tra i cittadini, ma solo di volontà politica. Come l’eliminazione di 200 miliardi di euro di sussidi di cui beneficiano ogni anno le fonti fossili e dei privilegi fiscali di cui godono le multinazionali, che non pagano le tasse per i guadagni generati in Europa. Inoltre la prossima programmazione 2021-2027 prevede ingenti risorse per l’azione climatica, per cui si può aprire in ogni Paese uno scenario in cui creare nuovi posti di lavoro, riqualificare le città ed evitare gli impatti sanitari di petrolio e carbone.

Se guardiamo al futuro dentro questa prospettiva, ci rendiamo conto di come l’Italia, più degli altri Paesi, possa trarre beneficio da un green new deal, per i suoi problemi e le risorse di cui dispone, per il suo ruolo al centro del Mediterraneo.

* Vicepresidente Legambiente