Più che una Nota di aggiornamento al Def (Nadef) quella varata ieri sera dal governo è una scommessa. L’orizzonte delineato nel documento prevede un recupero relativamente rapido. Il Pil registra quest’anno un -9% «pesante ma migliore del previsto», come segnala il ministro Gualtieri. Dovrebbe tornare ai livelli pre-Covid nel 2022. Il rapporto deficit/Pil s’impenna, dall’1,6% del 2019 al 10,8%. Però si prevede il ritorno più o meno nel parametro del 3% nel 2023. Il debito sta peggio di quanto preventivato nell’aprile scorso, non il 155,7% ma il 158%. Il governo ipotizza però una discesa sino al 151,5% nel 2023.

Il tutto Covid permettendo. Il governo mette le mani avanti. Nel capitolo dedicato allo «Scenario avverso di recrudescenza dell’epidemia» segnala che «la ripresa dei contagi» potrebbe «aggravarsi sensibilmente nei mesi finali del 2020». Potrebbero esserci «minichiusure» e a quel punto i conti stilati ieri diventerebbero un miraggio. La nuova crisi costerebbe un punto e mezzo di Pil quest’anno, arrivando a -10,5%, 3 punti il prossimo. Di ripresa si parlerebbe nel 2022.

Non è il solo azzardo. Le coperture sono in buona parte quelle solite. Ci sono il recupero dell’evasione fiscale, i frutti dei pagamenti elettronici, l’immancabile spending review. C’è anche, e qui la novità è reale, il taglio dei sussidi ambientalmente dannosi. È la giusta direzione ma bisognerà procedere con prudenza per evitare il rischio di mettere in ginocchio interi settori. Rimedio, almeno nell’immediato, peggiore del male. Conclusione: i fondi del Recovery sono indispensabili. «Prenderemo tutti i grants», cioè i sussidi, annuncia il ministro, mentre per i prestiti bisognerà vedere come starà «il raggiungimento degli obiettivi di bilancio». Ma il Next Generation Eu è ancora un’incognita. Arriverà, certo, ma quando e con quali controlli ancora non lo è affatto.

Dietro i doverosi toni tranquillizzanti, il governo è consapevole della partita al buio che si accinge a giocare. La riforma fiscale, cioè il taglio e la rimodulazione dell’Irpef, campeggiava nelle linee guida della Nadef, dove era prevista la legge delega entro l’anno e i decreti attuativi nel 2021. Tutto rinviato di un anno. Quello che si farà subito è confermare il taglio del cuneo fiscale «soprattutto per i redditi medio-bassi», grazie alle coperture garantite un po’ dalla lotta all’evasione un po’ dal Recovery. Il documento chiarisce però che la riforma a regime non potrà contare sui fondi europei. L’Italia dovrà fare da sola, «con misure strutturali». È ancora possibile, aggiunge speranzoso Gualtieri, che si possa «anticipare un modulo della riforma». Allude all’assegno unico per i figli, che costerebbe 6 miliardi. In ogni caso «a regime vigente» sarà meglio non aspettarsi cali della pressione fiscale. Al contrario, sia pur di pochissimo, di qui al 2023 è destinata ad aumentare: dall’attuale 41,8% al 41,9.

Sul fronte fiscale le notizie davvero brutte arrivano però dal dl Agosto, in discussione al Senato: tra gli emendamenti approvati non c’è la proroga della moratoria fiscale sino al 30 novembre. Dal 15 ottobre potrebbero così arrivare circa 9 milioni di cartelle, senza contare la ripresa dei pignoramenti. Non è detta l’ultima. La proroga potrebbe ancora essere inserita nel dl Covid, che sta per essere varato con le nuove norme restrittive per fronteggiare il virus e una serie di proroghe.

Gualtieri e Conte, in definitiva, hanno fatto il possibile per delineare un quadro rassicurante per tutti. Ma dalla Nadef traspare, accanto all’ottimismo, una marcata incertezza. È una scommessa, appunto: meglio tenere le dita ben intrecciate.