Quando nel 2011 Melendugno, in provincia di Lecce, fu scelta come approdo del mega-gasdotto Tap proveniente dall’Azerbaigian, la cartografia regionale riportava un vuoto in corrispondenza di quel tratto di costa. A nord e a sud, le aree marine erano protette. Le Cesine da un lato e gli Alimini dall’altro. Un lungo corridoio di siti di interesse nazionale tutelati dalla Rete Natura 2000 si estendeva dal brindisino a Otranto, con un’eccezione, la costa melendugnese. Mentre tutt’attorno erano state individuate praterie di posidonia oceanica e coralligeno che rientrano nella Direttiva Habitat, in quell’area la natura sembrava mostrarsi poco generosa. Trovandosi sprovveduta a confronto delle altre dodici papabili destinazioni, il punteggio che le venne assegnato fu inferiore e per questo venne scelta. In quegli anni era già in corso lo studio sulle biocostruzioni lungo le coste della Puglia, Biomap.

LE IMPORTANTI SCOPERTE, pubblicate nel 2014, furono in parte anticipate da uno dei ricercatori che aveva dato impulso agli studi, il professor Ferdinando Boero docente all’epoca dell’Università del Salento, oggi di ruolo a Napoli. Boero annunciò le meraviglie del fondale pugliese in un articolo pubblicato su La Stampa nel 2013 dal titolo «Gli strani coralli che popolano il Mediterraneo», in cui affermava che nel nostro mare «non ci sono formazioni coralline simili a quelle tropicali, però qualcosa di analogo c’è». Anche lo stesso consorzio internazionale Tap lo rilevò nei suoi studi, prima nel 2012 e poi nel 2014 con il rapporto di valutazione degli habitat. Riferendosi all’area limitrofa all’approdo, scrisse: «Cinque habitat sono stati registrati all’interno del corridoio d’indagine». E ancora: «Grossi affioramenti di rocce e biocostruzioni sono stati classificati come comunità coralligene del Mediterraneo». Nella Valutazione di impatto ambientale, rilasciata a Tap nel 2014, tra le 66 prescrizioni da ottemperare, più d’una riguarda il fondale marino. Nel frattempo anche l’agenzia regionale Arpa è stata incaricata di condurre ricerche ed è giunta all’individuazione di due aree di posidonia sotto costa, assieme alla presenza della cymodocea nodosa.

RISPETTO AL CORALLIGENO, il direttore scientifico Nicola Ungaro fa sapere che «in corrispondenza dell’exit point del microtunnel del gasdotto, che sorgerà a 800 metri dalla costa (nda), non c’è n’è, perché non si trova in quell’area ma a partire da circa 1500 metri. Un’area che come Arpa non abbiamo valutato». In merito alla possibilità che a San Foca, marina di Melendugno, venga istituito un sito di interesse comunitario (Sic) o una zona a protezione speciale (Zps) Ungaro si dice pronto a rilasciare parere tecnico favorevole: «Ci sono i presupposti perché ci sono le specie». Tuttavia il ministero dell’Ambiente con una serie di varianti in corso d’opera del progetto Tap ha concesso l’ottemperanza alla prescrizione A5, che riguarda la posidonia. Senza che il microtunnel fosse assoggettato a valutazione di impatto ambientale e ancor prima di ricevere i pareri di Arpa, Ispra e Ecolabel. Su questi aspetti è stata sporta denuncia in Procura. Resta sospesa invece la A9, relativa al coralligeno, presente in due dorsali perpendicolari alla costa e parallele al tracciato dell’opera. Era stata imposta una distanza di almeno 50 metri, poi ridotta a 10 con l’utilizzo di un varo guidato.

A TAP SONO STATE CONCESSE varie proroghe per l’invio di documenti più dettagliati, l’ultima è scaduta a febbraio 2018. La prescrizione, da ottemperare «in sede di progetto esecutivo e comunque prima dell’inizio dei lavori», resta congelata. La documentazione – stando a quanto riferito dal Ministero – è al vaglio della Commissione Via. Nel frattempo su Tap è calato il silenzio, i lavori continuano ed è arrivata anche la concessione demaniale. Ma a riportare al centro dell’attenzione mediatica le meraviglie del fondale pugliese è stata la ricerca pubblicata il 5 marzo su Scientific reports, rivista del settore, da parte di un gruppo di ricercatori dell’Università di Bari, Salento e Tor Vergata, guidato dal professor Giuseppe Corriero.

LA NOTIZIA DELLA SCOPERTA della prima scogliera corallina del Mediterraneo ha fatto il giro del mondo. A 50 metri di profondità al largo di Monopoli, in provincia di Bari, sono state rinvenute scogliere robuste con madrepore vive. «Abbiamo la certezza che lungo la costa pugliese adriatica e in parte ionica vi sia una distribuzione molto ampia. Ipotizziamo che i coralli possano trovarsi da Bari a Otranto», fa sapere Corriero. Tra Bari e Otranto c’è proprio San Foca, che al momento rientra però solo tra le ipotesi. «Si tratta – spiega – di un sistema più profondo del coralligeno, che invece ha bisogno di luce, fatto di biocostruzioni non vegetali (perché c’è penombra) ma animali. Abbiamo trovato 200 specie di invertebrati che per il Mediterraneo è tantissimo. Stiamo parlando di un grande hotspot di biodiversità, mediamente ritenuto povero perché poco illuminato».

La pubblicazione scientifica su una rivista di fama mondiale e la notizia di due ulteriori studi in uscita non hanno evitato la querelle mediatica a partire dall’uso improprio della definizione di barriera corallina, che Corriero stesso ritiene più opportuno identificare come scogliera nel caso pugliese. A insorgere è stato il professore Ferdinando Boero, che ha realizzato il progetto Biomap per conto della Regione e collabora da tempo con Tap. Ha svolto il ruolo di giurato nella selezione dei progetti del bando Tap Start per due edizioni. Ha coordinato per il consorzio interuniversitario Conisma il progetto da 50 mila euro Libera il mare, finanziato da Tap. È stato il rappresentante legale dello spin-off dell’Unisalento Antheus, che ha realizzato per conto della multinazionale lo studio Aree nursery, cetacei e tartarughe nell’area della Trans Adriatic Pipeline.

BOERO A POCHI GIORNI DALLA NOTIZIA virale della scogliera corallina è intervenuto con un articolo uscito sul Nuovo Quotidiano di Puglia dal titolo «La fake news della barriera corallina nel nostro mare». «Hanno esagerato – fa sapere al manifesto – gonfiando i loro risultati e tacendo risultati precedenti. Purtroppo i fondi a queste ricerche non sono moltissimi e si cerca di attirare l’attenzione». Corriero dal canto suo evidenzia la necessità di riperimetrare le aree con posidonia e coralligeno e di tutelarle. Ma il dibattito non è destinato a perire, giacché fonti accademiche riferiscono che un altro scienziato – anch’egli autore di studi per conto di Tap – starebbe preparando una controrelazione.

LA NOTIZIA HA RINFOCOLATO ANCHE i NoTap e lo stesso sindaco di Melendugno, Marco Potì, che è tornato a chiedere l’istituzione del sito di interesse comunitario a San Foca. Se nella cartografia regionale non vi fosse stato un vuoto in corrispondenza del comune salentino, Tap avrebbe dovuto ottenere anche la valutazione di incidenza ambientale. «Dal momento dell’individuazione e della proposta di un’area come Sic, occorre rispettare il mantenimento della condizione rilevata all’atto della proposta, anche mediante opportune misure di conservazione, ed escludere, alla luce del principio di precauzione, interventi che ne compromettano la situazione originaria, nonché sottoporre ogni iniziativa a Valutazione di incidenza», avverte Eleonora Bianchi della Direzione generale per la protezione della natura e del mare del ministero dell’Ambiente. Tuttavia, ricorda che «se il progetto viene regolarmente autorizzato prima della data di prima individuazione del Sic, il proponente è legittimato nel portare a termine la realizzazione».

LA RICHIESTA DI TUTELARE la costa di San Foca va avanti da tempo. Mesi addietro è stata avanzata formalmente anche da otto sindaci. Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, si era detto favorevole. Dopo due bocciature, a luglio 2018, l’emendamento del consigliere pentastellato Antonio Trevisi è stato approvato all’unanimità con l’inserimento nel bilancio regionale di un capitolo di spesa denominato “Monitoraggio dello stato di conservazione degli habitat marini”. Al momento non è dato sapere se i 100 mila euro stanziati abbiano già un ente destinatario e non si comprende se siano andati al dipartimento demaniale o a quello presieduto dalla dirigente regionale, Barbara Valenzano, direttrice del dipartimento Mobilità, qualità urbana, opere pubbliche, ecologia e paesaggio, che – pur non concedendo ulteriori chiarimenti – assicura: «Stiamo valutando gli habitat e le relative misure di conservazione. Ho fissato una riunione per aprire una procedura in merito a San Foca».

IL PRIMO INCONTRO SI È SVOLTO il 29 marzo in Regione. Nulla però di decisivo. «Sembra che sia stato costruito un corridoio ad hoc per lasciare libera quella zona», incalza il consigliere Trevisi. «Ci sono delle anomalie cartografiche – dice – non ho le prove, ma l’idea che qualcuno abbia voluto portare Tap a Melendugno ce l’ho». Al momento l’unica cosa certa è che a San Foca ci sono posidonia, cymodocea nodosa e coralligeno. La prima rientra nell’habitat prioritario «praterie di posidonia». Gli altri due in quelli «banchi di sabbia» e «scogliere». La Puglia, a cui si deve riconoscere un ruolo da capofila nel recepimento della direttiva europea, è stata oggetto nel 2016 di una segnalazione da parte della Commissione Europea in merito all’insufficiente tutela di quest’ultimo habitat. A Melendugno c’è, ma l’iter autorizzativo per proteggerlo è ancora al vaglio. La storia del gasdotto sembrerebbe scritta, ma la mancata valutazione degli impatti cumulativi potrebbe riservare sorprese. Quello che in gergo viene chiamato il trucco dello spezzatino, nel caso delle autorizzazioni rilasciate a Tap, non è passato inosservato.