«Per Migliore e per per chi vuole, le porte del Pd sono aperte». Vista da Palazzo Chigi e dal cerchio magico renziano, le ipotesi di una «diaspora» di Sel, una «scissione» o insomma di una «fuga da Vendola», riferite a voci anonime ieri sul Fatto, ufficialmente non si commentano. Ma non possono che far piacere. Per quanto Renzi abbia vietato ai suoi di crogiolarsi nei sondaggi (anche perché al Viminale ne circolano alcuni che danno il M5S pericolosamente alto) lo scontro all’ok corral tra il premier e Grillo consiglia il Pd di non trascurare nessun voto alle europee. E figuriamoci quel tesoretto di voti di sinistra, e particolarmente degli ex alleati che il 25 maggio corrono da avversari insieme alla ’sinistra sinistra’ nella lista L’Altra Europa con Tsipras.
Ma le «indiscrezioni» pubblicate dal giornale di Travaglio e Padellaro ieri hanno mandato in fibrillazione il gruppo parlamentare di Sel. Del resto erano sospiri, soffiate, sofferenze, che circolavano anonimi ormai da mesi in Transatlantico. E precisamente dal congresso di gennaio in cui, a sorpresa, il partito di Vendola ha virato a sinistra, dopo aver a lungo chiesto l’ingresso nel Pse del candidato presidente Martin Schulz. A Riccione l’insofferenza verso un atteggiamento solo negativo verso Renzi, dopo mesi di ’aperture’ vendoliane, si era sentito parecchio. Recentemente c’è stato chi, come il senatore Alessandro Zan, ha fatto sapere che era favorevole a un senato non elettivo, in dissenso dalla proposta del gruppo a palazzo Madama. E chi, come il deputato Gianni Melilla, aveva annunciato il voto per Schulz, poi smentendosi.

Del resto alla direzione di metà febbraio in 51 avevano firmato un emendamento scettico sulla lista Tsipras (scettico è un eufemismo: i compagni di strada venivano definiti potenziali «neogirotondini e grillini»), votato poi da 19 deputati su 37: fra gli altri il capogruppo Migliore e il tesoriere Sergio Boccadutri, Claudio Fava; e un senatore su 7: quasi la metà dei parlamentari.

Ieri la «trattativa» per l’ingresso nel Pd è stata attribuita al senato a Massimo Cervellini, Luciano Uras e Peppe De Cristofaro, che subito hanno «categoricamente» smentito. E a Montecitorio, fra gli altri, a Migliore, Boccadutri, Fava, Nazzareno Pilozzi, Gianni Melilla, Martina Nardi, Ileana Piazzoni e Fernando Ajello. Smentiscono Boccadutri, e soprattutto Migliore, il riferimento di tutta l’area (scherzosamente infatti definita dei ’miglioristi’): «Non sto organizzando nessuna scissione, siamo tutti impegnati nella campagna elettorale per sostenere L’altra Europa con Tsipras». Una dichiarazione gelida.

Ma fra le smentite si notano, certo fra gli amanti del genere, alcune assenze. Di parlamentari che pur giurando di «non essere in trattativa con il Pd», non fanno mistero di non credere al lista Tsipras, di non condividere la linea politica di una Sel che «rischia di cambia natura», posizioni ripetute anche pubblicamente, «anche a prescindere dal risultato delle europee», che invece farà la differenza. Nicola Fratoianni, coordinatore del partito e ultrà pro-Tsipras, lancia loro una rassicurazione: «Non c’è nessuna possibilità che Sel ricostruisca una sinistra testimoniale e minoritaria. Per vincere serve una sinistra forte, molto più forte di oggi. Ma che lasci aperta la prospettiva del cambiamento». Tradotto un po’ liberamente: l’alleanza con Renzi non è seppellita. Se ne parlerà nel 2018.

Ma delle anime della lista L’altra Europa con Tsipras, Sel, azionista di maggioranza e l’unica ad avere parlamentari, si gioca la partita più dura. Mancare il 4% potrebbe essere il detonatore per una svolta.

Quanto alla lista Tsipras, nei territori c’è chi soffre molto la rottura, benché temporanea, con il Pd. Il partito calabrese, per esempio, negli scorsi giorni ha affrontato una difficile discussione sulle primarie per le prossime regionali. E i vendoliani che hanno lì il proprio tesoretto di voti, non avrebbero molta voglia di ’disperderli’ in una lista, quella per Tsipras, che giudicano destinata a non farcela. Sarebbe il caso di Ajello, uno dei presunti scissionisti: che ieri ha staccato il cellulare. Dura invece la replica di Massimiliano Smeriglio, capo dell’organizzazione di Sel, alle ipotesi di scissione: «poco credibile», dice, perché vengono tirati in ballo «parlamentari che solo un anno fa esprimevano dubbi persino nel costruire alleanze con Bersani, Zingaretti e Marino perché affezionati all’autonomia di Sel». Renzi attrae solo «i trasformismi» e «l’unica scissione in corso è quella tra palazzo e società, segnata da una crisi senza fine». Tradotto, anche qui con libera traduzione: la scissione non c’è, ma se fosse sarebbe un fenomeno solo parlamentare.

Sullo sfondo c’è anche il futuro di Nichi Vendola: in Puglia il Pd di Michele Emiliano ha lanciato un’opa sulla presidenza della regione (si vota nel 2015) e Dario Stefàno (vendoliano, ex centrista) già sta facendo un giro «di ascolto», in vista delle primarie. Nel caso in cui Vendola non si ricandidasse.