La scissione del Pd è a un passo. Questione di settimane, forse di giorni. I diretti interessati, i renziani, negano ma lasciando capire che la smentita è di prammatica, nulla va presa troppo sul serio. La maggioranza, invece, è convinta che il conto alla rovescia sia cominciato.

Questione di pelle. Una sensazione palpabile nei gruppi parlamentari, quel tipo di tensione che chiunque sia passato per esperienze politiche simili riconosce a naso. Questione di segnali poco equivocabili anche. Come la presenza assidua di Pierferdinando Casini nelle sale del gruppo Pd al Senato. Come le voci di imminente sganciamento di una decina almeno di senatori e di una ventina di parlamentari che si rincorrono senza mai trovare, nei discorsi diretti, convincenti smentite. Come i segnali che i renziani hanno già cominciato a far arrivare all’M5S: nessuna preoccupazione, non solo non metteremo a rischio il governo ma lo difenderemo con le unghie e con i denti. Come la richiesta rivolta da Ettore Rosato ai circoli vicini all’area renziana perché si affrettino a far arrivare le adesioni, in anticipo sui tempi già fissati: entro il 25 settembre.

La logica politica conferma. Per Renzi la scissione oggi è quasi un obbligo. L’ex premier è risorto, ha occupato il centro della scena, è il primo artefice del governo che ha evitato di misura le elezioni anticipate e il trionfo della destra. Opera sua. Controlla una pattuglia di governo di tutto rispetto: tre ministeri, cinque sottosegretari. Poiché la squadra va considerata non solo tenendo conto dei partiti di maggioranza ma anche, forse soprattutto, delle loro correnti interne è una forza d’urto notevole.

Eppure, nonostante gli allori, negli orientamenti della maggioranza Renzi rischia di contare poco. Al tavolo, a partire da martedì, si siederanno i partiti, non le correnti. L’odiata Leu avrà più voce in capitolo, nell’indirizzare maggioranza e governo, dei renziani. Con gruppi parlamentari a disposizione, o almeno con un gruppo alla Camera e una robusta componente del Misto al Senato (dove in realtà, nonostante il nuovo regolamento vieti la nascita di nuovi gruppi, una via per aggirare la norma e formare un gruppo comunque ci sarebbe) le cose cambierebbero. Il tavolo della maggioranza poggerebbe su quattro gambe e la voce in capitolo dei renziani, che continuerebbero a incidere moltissimo anche nel gruppo del Pd perché il grosso della truppa senatoriale resterebbe «a presidiare il territorio», avrebbe tutto il suo peso e sarebbe in realtà un peso enorme.

C’è anche, in ballo, una questione di visibilità, diventata centrale proprio dopo la vittoria nella «campagna d’agosto». Matteo Renzi è a tutti gli effetti un semplice senatore. Se vuole prendere la parola in aula deve chiederlo, contrattare i tempi dell’intervento, deve muoversi senza vera libertà. Fuori dal gruppo Pd recupererebbe totale agibilità di movimento e dunque di visibilità.

Sulla carta la nascita di un’area renziana definita e alla luce del sole dovrebbe creare problemi immediati ai 5S. «Mai con Renzi» hanno ripetuto anche nei giorni bollenti delle trattative per da vita al nuovo governo. Soprassiederanno sullo stentoreo impegno. Problemi grossi sembrerebbero esserci invece nel Pd, tanto che lo stesso Zingaretti, negli ultimi giorni, ha ripetuto di voler evitare a ogni costo la scissione. «Se qualcuno se ne va non c’è mai da essere contenti», ha confermato anche ieri il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.

Contenti magari no, ma neppure tanto ciechi da non vedere i vantaggi, tanto più che i test già effettuati dalla maggioranza del Pd accreditano al nuovo partito una percentuale troppo bassa per impensierire: intorno al 3%. Per certi versi sarebbe la fine di un incubo. Ma soprattutto la dipartita di Renzi renderebbe molto più facile l’alleanza anche elettorale con i 5S. Non a caso Goffredo Bettini, a cui si deve per primo la sterzata del segretario dalla linea pro-elezioni a quella favorevole al governo con i 5S, ieri è tornato a farsi sentire. Per dire due cose chiare e intrinsecamente collegate: l’alleanza di governo va riprodotta ovunque perché solo così si può «sfidare Salvini» e se Renzi alza i tacchi, be’, «non griderei allo scandalo».