«L’adesione alla manifestazione di oggi è una risposta a tutti quei gufi che hanno lavorato perché lo sciopero non riuscisse». Il segretario della Camera del lavoro Ivano Bosco alla fine del corteo della Cgil genovese, riassume così dal palco la tensione che le elezioni regionali liguri stanno rovesciando anche sul sindacato di Susanna Camusso. In piazza, per ricordare a 45 anni dallo Statuto dei lavoratori che con i diritti non si scherza, c’erano circa 3 mila lavoratori, in rappresentanza di tutte le categorie ad eccezione dei servizi pubblici. C’erano le fabbriche cittadine e le mille altre realtà a rischio: dai lavoratori di Saturn ai precari della sanità, da Fincantieri a Piaggio Aero, dall’Ilva ai portuali ai pensionati che chiedono al governo di ridare loro tutto il dovuto.

Una piattaforma molto simile, in fondo, a quella dello sciopero generale di dicembre, ma a pesare non è l’assenza delle altre sigle quanto quella di dirigenti e funzionari del Pd, a cominciare dai segretari regionale e provinciale del partito, onnipresenti in piazza fino a ieri ma entrambi candidati (di minoranza) alle regionali.

«E’ chiaro che quando il mondo del lavoro scende in piazza la politica non può che avere attenzione – così il segretario genovese del Pd Alessandro Terrile spiega la sua assenza – ma rilevo una certa anomalia rispetto a uno sciopero proclamato solo dalla Cgil genovese a dieci giorni dal voto». In altri termini per il Pd si tratta di uno sciopero contro il partito e a sostegno di Pastorino. Non tanto Luca, candidato presidente e deputato uscito dai dem, ma Gianni, sindacalista della Cgil capolista per Rete a sinistra. Lui smentisce convinto: «La maggior parte della gente in piazza oggi non andrà nemmeno a votare – dice riferendosi alla corposa presenza di Lotta comunista – e in molti nemmeno sanno chi sono». E contrattacca: «Trovo preoccupante che un partito che si dice di sinistra sia assente oggi, ma questo conferma la distanza di certi dirigenti dal mondo del lavoro».

E dire che il Pd, e soprattutto la candidata presidente Raffaella Paita, ci hanno provato in tutti i modi ad avvicinare il partito al mondo del lavoro offrendo generosamente un assessorato nientemeno che al segretario della Camera del lavoro di Genova Bosco. Offerta che lui ha cortesemente rifiutato. Da qui la scelta di Paita di mettere nel listino l’omologa savonese Fulvia Veirana, ma il peso in termini di voti nella città che alle primarie si è confermata antipaitiana e antirenziana è ben diverso. Bosco non commenta e non smentisce il ’gran rifiuto’ ma spiega le ragioni della protesta: «La Cgil è in piazza anche in altre città perché quando nel ’70 venne approvato lo Statuto dei Lavoratori si disse che la Costituzione entrava nei posti di lavoro. Oggi non è più così, il Jobs Act lo ha in gran parte demolito e ci sono questioni che devono essere affrontate in modo serio. Serve un sistema fiscale più equo e una riforma vera delle pensioni: l’una tantum per restituire in parte il maltolto non è il modo giusto».

Ma è proprio la riuscita dello sciopero, con il corteo che ha attraversato il ponente cittadino ’acceso’ dai copertoni incendiati dai portuali e dai cori contro Renzi della Fiom e della Filt, a portare la tensione alle stelle. Nel pomeriggio il segretario generale della Cgil Liguria Federico Vesigna diffonde un comunicato il cui solo titolo («La Cgil sciopera contro il Pd? No, sciopera per lavoro e sviluppo») provoca una mezza rivolta nella sede genovese del sindacato con immediata riunione di tutti i segretari generali e un’altrettanto generale indignazione che il segretario genovese della Fiom Bruno Manganaro riassume così: «Quelle di Vesigna sono dichiarazioni vergognose. Non ha dato nessun contributo alla riuscita dello sciopero guardandosi bene dal coinvolgere le altre province e poi ha fatto un comunicato che è un’offesa per i lavoratori e una cosa mai vista nella storia della Cgil. Il suo unico problema è chiedere scusa al Pd e al governo. Ora bisognerà chiarire chi rappresenta i lavoratori e chi rappresenta un partito politico».