Lo sciopero ai tempi dell’università della crisi. I docenti continuano la loro protesta e, da ieri, si asterranno dagli esami fino al 31 luglio. Gli studenti protestano perché l’interruzione rischia di compromettere l’appello, il mantenimento della borsa di studio e di rinviare la laurea o rinunciare a un lavoro estivo. A prima vista sembra l’immagine rovesciata del Sessantotto. Cinquant’anni fa erano gli studenti a protestare contro l’autoritarismo dei docenti, i saperi dominanti, il potere disciplinare e di classe esercitato contro una nuova generazione che entrava nell’università e, a spallate e occupazioni, intendeva allargarla alle «masse» e agli operai.

Tuttavia lo sciopero – un antefatto c’è stato tra settembre e ottobre del 2017 – non andrebbe ridotto a un conflitto tra utenti di un servizio (gli studenti) e professionisti interessati ai propri interessi economici. Il «Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria» non chiede un aumento di stipendio ma lo sblocco definitivo degli scatti stipendiali dal 1° gennaio 2015, e non dal 2016 come ha deciso il governo Gentiloni. E poi il riconoscimento degli arretrati 2011-2014 come è stato fatto per gli altri dipendenti pubblici. Avanzata la richiesta di 80 milioni di euro per le borse di studio degli studenti; 6 mila concorsi a professore associato; 4 mila da ordinario; 4 mila da «ricercatore di tipo B». Richieste minime «di sistema».
E, allora, perché il conflitto che si è espresso con fotopetizioni, mentre 46 mila studenti che hanno firmato una petizione su change.org? Le polemiche sono iniziate quando ci si perdeva ancora tra le giravolte dei legastellati e il Quirinale. Gli studenti dell’Udu hanno precisato di essere «d’accordo» con le rivendicazioni dello sciopero, ma hanno segnalato che i promotori non avevano «un interlocutore con cui negoziare».

Ora che l’interlocutore c’è, Bussetti (tecnico in quota Lega) bisognerebbe capire cosa pensa del problema. Non è detto che le sue idee, e quelle del governo gialloverde, saranno note entro il 31 luglio. È una possibilità, ma non è l’unica. Su scuola e università, il «contratto» di governo non esplicita l’intenzione, più volte dichiarata dai Cinque Stelle, di abolire la riforma renzianissima «Buona Scuola». Presenta un elenco generico di provvedimenti, quanto generica è l’intenzione di rivedere l’alternanza scuola-lavoro. L’università e la ricerca sono universi quasi del tutto sconosciuti, per il momento. Insomma si rischia l’intempestività dell’iniziativa, mentre il problema può restare sul tavolo senza soluzione.

Gli studenti di Link hanno rilanciato un appello all’«unità». «Questo sciopero è uno dei tanti segnali del definanziamento, ci sono migliaia di studenti idonei non beneficiari di borsa di studio, interi dipartimenti retti dalla didattica dei precari. Gli studenti chiedono ai 7 mila docenti aderenti allo sciopero di ripensare le modalità della protesta per renderla «più inclusiva».