Per cominciare rilancio un frisbee di Giulia Niccolai: «Una sessantenne alla cassa / del Supermercato. Invece di dire / quanto devo? dice: vorrei un caffè. / Il giovane cassiere le sorride / e risponde: pensare che ho sempre / voluto fare il barista! / Un caso, o con la crisi stiamo / diventando più umani?».

È un testo datato 2013 (nel libro Foto & Frisbees, Oèdipus, 2016) ma mi è suonato simpaticamente attualissimo. Chi l’ha detto che la crisi debba renderci tutti salvinianamente più arrabbiati, ostili e meno umani? I versi della poeta fulminei e gioiosi (se non gaudiosi, come scrive introducendo il libro Cecilia Bello Minciacchi) sono risuonati nella mia mente con le immagini della manifestazione di Milano. E, perché no, con le persone in fila a votare per Zingaretti e gli altri candidati alla segreteria del Pd.

So che scandalizzerò amici e amiche molto di sinistra, ma ho votato anch’io. Ciò non vuol dire che confermerei alle elezioni politiche la scelta per il partito di Zingaretti (se appena si presentasse una alternativa decente a sinistra), tuttavia le pur discutibili primarie del Pd sono qualcosa di meglio dei click sulla piattaforma Rosseau, o degli ingessati ossequi ai leader nelle altre forze politiche.

Insomma i 200 mila e più di Milano (e di molte altre città) e il milione abbondante ai gazebo del Pd mi pare parlino, diversamente, di una volontà di reagire all’andazzo politico che sembrava prevalere (e che forse prevarrà ancora per un bel po’). Inoltre le immagini restituivano di un clima di festa, di ostentato e provocatorio «buonismo», e di una serena, anche un po’ cocciuta, adesione a uno strumento che almeno evoca l’idea di un fare politica più concreto, con le menti e con i corpi.

Poi certo vedo il rischio che di questo fedele affetto popolare i capi continuino a non fare buon uso. La prima cosa da parte del vincitore era proprio quella di correre al sostegno del nordico «partito del Pil» e dei «Si Tav»?

Mi piacerebbe invece che i politici maschi – per esempio il neosegretario della Cgil Landini, ma non solo lui – provassero a dire – e fare – qualcosa di sensato sulla ormai vicinissima giornata dell’8 marzo. Molti movimenti e gruppi femministi, a cominciare da Non una di meno, hanno rilanciato lo sciopero come metodo di lotta, ma con una novità: l’astensione, pratica e simbolica, non riguarda solo i «luoghi di lavoro», ma anche tutta l’indispensabile attività di cura per la «riproduzione sociale».

Vale a dire il tempo, l’energia, gli affetti, i conflitti necessari a mettere al mondo i bambini, gestire le convivenze, accudire gli anziani che ne hanno bisogno, e le molte altre cose che il «sistema», il capitalismo, la cultura diffusa, non riconoscono come momento delle nostre vite almeno altrettanto importante (io credo che lo sia di più) di quello relativo alla «produzione» delle merci e dei servizi.

Questa contraddizione è al centro del «manifesto» del Femminismo per il 99% scritto da Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser appena tradotto in Italia da Laterza. Un testo che si propone di dare un fondamento anticapitalistico anche teorico allo sciopero delle donne dell’8 marzo e che ho trovato tanto interessante quanto discutibile per la mancanza di una più radicale lettura dei meccanismi di soggettivazione e di relazione attraverso i confini della sessualità, della classe sociale e della «razza».

Ma appunto, discutiamone. Partecipando intanto venerdì prossimo all’appuntamento «di lotta», o «di festa», come si è chiesta Letizia Paolozzi (su www.donnealtri.it). Magari giocando coi bambini e preparando la cena.