Oggi niente pane in tavola: a Genova non si troveranno focacce, a Napoli il pane cafone, a Roma le rosette. In Umbria si farà a meno del pane “sciapo”, senza sale, antica tradizione figlia della guerra del sale del 1540 contro lo Stato pontificio e le successive tasse imposte dal nuovo occupante.

Come nel resto d’Italia, tra ieri e oggi, il settore della panificazione ha indetto uno sciopero di otto ore, a cui seguirà una mobilitazione speciale il 21 e 22 ottobre per sensibilizzare la popolazione sull’attuale situazione contrattuale di 80mila lavoratrici e lavoratori. Ad indire lo stato di agitazione sono le organizzazioni sindacali Flai-Cgil, Fai-Cisl e Uila-Uil, dopo quasi due anni di stallo nel rinnovo del contratto collettivo nazionale.

«In Umbria hanno scioperato i lavoratori della panificazione sia industriale che artigianale – spiega al manifesto Simone Polverini, segretario regionale Flai-Cgil – Abbiamo registrato oltre il 70% di adesioni degli oltre mille dipendenti a livello regionale». Lo stesso accadrà con gli altri 80mila lavoratori del settore, in tutta Italia, per proseguire la prossima settimana: il 21 e il 22 ottobre presidi saranno organizzati nelle piazze delle principali città. Sindacati e lavoratori promuoveranno la tutela del buon pane e della dignità dei lavoratori: «È il buon lavoro che fa il buon pane», lo slogan della mobilitazione.

Al centro della vertenza nazionale sta il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale, scaduto nel dicembre 2014. I sindacati imputano lo stallo delle trattative alle condizioni poste dalle controparti datoriali, Fiesa e Federpanificatori: «C’è stata una chiusura totale in merito alle richieste contenute nella nostra piattaforma, in relazione sia alla parte normativa che economica. Le controparti puntano alla destrutturazione del contratto collettivo nazionale attraverso la differenziazione del salario su base territoriale. A nostro giudizio è un ritorno alle gabbie salariali, a scapito della moderna contrattazione. Giudichiamo inqualificabile la pretesa delle controparti di differenziare i salari da provincia a provincia, creando disuguaglianze tra lavoratori dello stesso settore».

A monte sta una contrattazione resa più complessa dalla realtà del settore della panificazione, dove solo il 10% dei panifici hanno una natura industriale e il restante 90% artigianale: «La frammentazione del settore e la preponderante presenza di panificatori artigianali rendono più difficili le relazioni sindacali – continua Polverini – I particolarismi hanno caratterizzato anche le trattative passate: ogni volta che il contratto nazionale è stato rinnovato si sono accumulati molti mesi di ritardo e quindi perdite salariali e del potere d’acquisto dei lavoratori».

Il mancato riconoscimento dell’adeguamento contrattuale al costo della vita fa il paio con la proposta di Federpanificatori e Fiesa di prevedere riconoscimenti economici ad personam, sulla base di una valutazione generica e fumosa della produttività del singolo lavoratore: «Il nostro timore è che destrutturando il contratto collettivo nazionale si arrivi a proporre un minimo salariale a livello locale inferiore a quello attuale, da incrementare sulla base di elargizioni individuali, al singolo operaio. Ciò significherebbe un ingiustificato aumento del potere esercitato dal datore di lavoro nei confronti dei dipendenti, spezzando definitivamente l’unità dei lavoratori».

Una realtà unica: nel settore “cugino”, l’industria alimentare, la straordinaria mobilitazione dei lavoratori e le lavoratrici delle imprese del comparto ha permesso in primavera di riaprire il tavolo della trattativa giungendo alla firma del nuovo contratto. «La nostra richiesta è la stessa – conclude Polverini – I sindacati di categoria hanno presentato una piattaforma articolata sia dal punto di vista economico che normativo. Chiediamo con forza l’immediata riapertura del tavolo delle trattative e il ritiro delle assurde proposte delle controparti». Pane al pane.