Il sindacato che rappresenta i lavoratori del cinema ha notificato ieri il proprio ultimatum: se non verrà raggiunto un accordo con gli studios, i 60000 membri dello IATSE (International alliance of theatrical stage employees) incroceranno le braccia da lunedì prossimo. Lo sciopero rappresenterebbe la maggiore azione sindacale messa in atto nell’industria dell’intrattenimento da oltre un decennio e potrebbe determinare lo stop di tutte le produzioni di film e serie tv sui set in cui è in vigore il contratto scaduto già il 31 luglio e poi prorogato fino a settembre.
Rimangono quattro giorni utili per trovare un accordo su durata e frequenza dei turni, condizioni di lavoro e l’impegno richiesto dagli studios alle maestranze – attrezzisti, elettricisti, assistenti, scenografi, costumisti montatori operatori – tutti i lavoratori delle troupe «below the line» cioè, che nei titoli di coda di film e serie figurano sotto registi sceneggiatori e cast. La scorsa settimana il 90% di membri IATSE aveva votato con una maggioranza del 98% e preventivamente autorizzato lo sciopero. Matthew Loeb, presidente del sindacato, ha dichiarato che; «le discussioni continueranno in buona fede» nel tentativo di trovare un accordo con la controparte, ma che, «senza una scadenza precisa il negoziato potrebbe continuare all’infinito. Mentre i nostri membri meritano una risposta alle proprie istanze.»

FRA I PUNTI da definire sono le retribuzioni per i progetti streaming ancora soggetti a tariffe scontate. Una parte cruciale del negoziato infatti riguarda direttamente le produzioni Netflix, Amazon e degli altri giganti tech sempre più padroni dell’industria, che da Silicon Valley hanno importato un approccio produttivo imperniato su precariato, delocalizzazione e una spiccata antipatia per i sindacati. I ritmi di marcia forzata spesso imposti dagli streamer hanno esacerbato condizioni di lavoro già storicamente imperniati su concorrenza e meritocrazia.

AL CENTRO della vertenza vi sono quindi condizioni di lavoro sempre più estreme imposte dalle produzioni per far fronte alla domanda sovralimentata soprattutto dal proliferare delle piattaforme e dei servizi di abbonamento con la loro spropositata fame di contenuti – specie nella ricorsa al recupero post-lockdown. Il cinema è stato sempre un settore altamente concorrenziale e ad alto tasso di precariato, che sfrutta una forza lavoro in gran parte freelance che necessita di un minimo di ore lavorative annuali per usufruire di protezioni sindacali ed assicurazione medica. Negli anni i sindacati hanno ottenuto alcune garanzie di sicurezza e limiti sui turni notoriamente disumani, ma è pratica corrente degli studios «sforare» e mettere le penali in conto nei budget.
«Malgrado i nostri migliori sforzi le discussioni non riflettono l’urgenza della situazione», ha dichiarato Catherine Repola, direttrice della Motion picture editors guild, l’associazione dei montatori cinematografici, fra i reparti più militanti del sindacato. Fra le condizioni denunciate: turni fino a 18 ore consecutive, pause pranzo saltate, fine settimana obliterati con relative ripercussioni su famiglie, rapporti personali, salute e un incremento degli infortuni sul lavoro per esaurimento. L’ultima grande agitazione a Hollywood risale allo sciopero degli sceneggiatori che nel 2007/2008 determinò l’accorciamento della stagione televisiva e lo svuotamento dei magazzini degli studios. Uno sciopero delle troupe non si verifica invece dallo scontro sociale agli albori dell’industria fra il 1920-40.

LA LOTTA delle maestranze ha riscosso ampia solidarietà e il sostegno pubblico di molti attori e registi. La confederazione sindacale AFL-CIO ha annunciato che appoggerà un eventuale sciopero. Su Twitter Bernie Sanders ha scritto «I lavoratori IATSE sono la spina dorsale operaia di film e programmi TV. I produttori sono tenuti ad offrire loro un contratto equo.» La vertenza avviene in un momento in cui pandemia e modelli di produzione e distribuzione introdotti dalle piattaforme hanno sconvolto consolidati modelli di impresa e lavoro. La lotta dai lavoratori che producono l’immaginario globale promette quindi di essere un test cruciale nell’era tecno-pandemica, la prima avvisaglia forse di uno scontro più ampio sul post-lavoro fra oligopolio digitale e le forze residue che cercano di contrastare l’allargamento del modello Gig-economy ad ogni sfera della produzione e della vita.