Lo sciopero è una tombola. Nel vero senso della parola. Succede allo stabilimento Indesit di Melano: ogni operaio ha pescato da un’urna la fascia oraria nella quale si sarebbe astenuto dal lavoro. Tutto questo mentre, ad Albacina, si è scioperato la mattina in base alla posizione lavorativa, mentre nel pomeriggio in base alla data di nascita nella prima o nella seconda metà del mese. Ma non solo, se Fabriano chiama, Taverola risponde, e allora anche nella sede campana della multinazionale sono ripartite le iniziative di protesta.

I blocchi – ognuno di mezz’ora – portano la fabbrica a rallentare sensibilmente la sua produzione. Si chiamano «scioperi a gatto selvaggio» e da qualche settimana, ormai, i lavoratori fabrianesi della Indesit stanno interpretando il concetto in maniera molto creativa: prima della pesca dall’urna, i lavoratori erano stati divisi per sesso, giorni pari e giorni dispari, scapoli e ammogliati, con figli o senza, e così via. Questa pratica – detta a anche «sciopero a singhiozzo» – è stata vietata per legge fino a una sentenza della Cassazione datata gennaio 1980.

La decisione di bloccare in questo modo le linee è da leggere come una risposta alle timide aperture fatte negli ultimi tempi dall’azienda, che ha lasciato intendere di essere disposta a rivedere, almeno in parte, il suo piano industriale che prevede 1425 esuberi e una consistente delocalizzazione della produzione verso lidi in cui il lavoro costa meno: Turchia e Polonia.

Segnali di speranza arrivano anche dalle parole di Antonella Merloni, presidente di Fineldo, la «cassaforte» della famiglia più potente delle Marche. «L’attenzione da parte della mia famiglia ai territori dove Indesit opera è, come da tradizione, altissima – ha detto -. Lo è sia per Fabriano, sia per Comunanza e Caserta». A farle eco c’è Marco Milani, presidente e amministratore delegato del gruppo: «Noi siamo pronti a parlare di tutto – ha spiegato a margine di un’audizione della Commissione Industria del Senato -, a patto però di andare nella stessa direzione, cioè di rendere sostenibile la nostra presenza in Italia». Sul concetto di «sostenibilità» si potrebbe discutere, visto che gli operai e gli impiegati attualmente considerati insostenibili hanno sostenuto la famiglia Merloni per decenni con il proprio lavoro. Per il momento, comunque, prevale un atteggiamento attendista, con la speranza che, dopo tanto tempo, si è riaffacciata sulle Marche: «Gli scioperi proseguiranno anche nei prossimi giorni – a parlare è Andrea Cocco, di Fim Cisl -, vogliamo tenere alta l’attenzione sulla vertenza e ribadire che vogliamo salvaguardare l’occupazione e il mantenimento delle produzioni italiane. Per il resto, vogliamo che alle parole spese dalla dirigenza, seguano i fatti».

L’umore di lavoratori e cittadini, ad ogni buon conto, continua ad essere una pentola a pressione. Se nelle scorse settimane sono stati organizzati cortei e occupazioni pacifici, va segnalato anche il blitz di una decina di giorni fa dei ragazzi del centro sociale Fabbri a Bellaluce, dove sorge la sontuosa residenza dei Merloni. Indossando tute e maschere, gli attivisti hanno scaricato dei sacchi di letame in mezzo alla strada, corredando il tutto con uno striscione: «Chi semina deserto, raccoglie merda». Il prossimo capitolo della vicenda è previsto – a meno di un ennesimo rinvio – per martedì 23, quando tutte le varie parti coinvolte nella vertenza dovrebbero incontrarsi al ministero dello Sviluppo Economico. Sarà in questo momento che, nel caso, avrà luogo il sospirato passo indietro dell’azienda. La chiave di volta perché Indesit riponga la mannaia si chiama Ecobonus: il sistema di detrazioni fiscali per l’acquisto di elettrodomestici che starebbe studiando il governo Letta.