Il numero degli scioperi nei servizi pubblici essenziali è in lieve crescita (1.488 lo scorso anno rispetto a 1.471 nel 2015), ma le giornate di astensione dalle attività lavorative a seguito delle revoche delle parti sono diminuite: 840, nel 2015 erano 939. Per il garante Giuseppe Santoro Passarelli, che ieri ha presentato la relazione sull’attività della commissione sull’attuazione della legge sullo sciopero, le proteste sono state proclamate in larga parte nel rispetto delle norme della legge. Nella stragrande maggioranza sono scioperi dovuti alla mancata retribuzione o al ritardo del rinnovo del contratto.

DATI NELLA MEDIA, e controllati da una legge che funziona. Ma per il garante non basta. Anche in queste condizioni, il ricorso allo sciopero effettuato in prevalenza dai sindacati di base, è giudicato «eccessivo», anche se rispetta la legge. Non piace la «scadenza periodica» delle proteste convocate, a suo dire, «da alcune organizzazioni sindacali dall’incerta rappresentatività». L’argomentazione procede su un crinale molto scivoloso: quello della negazione del diritto di sciopero ai lavoratori che sono liberi di scegliersi la rappresentanza sindacale che più gli aggrada. Il rischio è molto forte, anche se Passarelli ha precisato di non volere pregiudicare il loro diritto costituzionale. Da quando il segretario del Pd Renzi, il ministro dei trasporti Delrio, il presidente della Commissione lavoro della Camera Cesare Damiano (Pd) hanno espresso l’intenzione di modificare la legge sugli scioperi, e in alcuni casi hanno esplicitato intenzione di colpire i «Cobas», sembra proprio che governo e maggioranza abbiano deciso di andare alla resa dei conti con i sindacati di base nel trasporto pubblico.

SONO DIVERSE le motivazioni portate da Passarelli per giustificare l’intervento: ad esempio, nella giornata di visita del Papa a Milano un sindacato della polizia municipale ha proclamato un’assemblea, al posto dello sciopero, «con il chiaro intento di arrecare pregiudizio alla normale erogazione di alcuni servizi pubblici essenziali». Oppure lo sciopero improvviso dei taxi a marzo. Esempi di «forme anomale di lotta sindacale» che tuttavia non riguardano il trasporto pubblico locale, il settore dove si registra la maggiore conflittualità da parte dei sindacati di base e che potrebbe essere interessato da un eventuale intervento legislativo.

ARGOMENTAZIONI FUMOSE che si ritrovano anche nelle ultime dichiarazioni del ministro del lavoro Poletti per il quale esiste «l’esigenza di costruire una risposta che salvaguardi il diritto del lavoratore allo sciopero senza che questo comporti danni gravi per i cittadini». «Non serve una riforma del diritto di sciopero ma una legge sulla rappresentanza» è la posizione Susanna Camusso, segretaria Cgil, secondo la quale gli scioperi sono dovuti alla mancata retribuzione dei lavoratori e ai mancati rinnovi contrattuali. Prima, dunque, di lamentarsi per gli scioperi, sarebbe il caso di risolvere i problemi che li causano a ripetizione.

«LO SCIOPERO È UN DIRITTO individuale e non è proprietà esclusiva dei sindacati, ma è prerogativa di qualsiasi struttura con un responsabile legale – sostiene Piero Bernocchi, portavoce nazionale Cobas – È anti-costituzionale la pretesa di consegnare tale diritto solo alle organizzazioni che già detengono il monopolio dei diritti sindacali. Ma è un imbroglio anche la divisione tra “rappresentativi” e “minoritari” perché chi è maggioranza o minoranza in uno sciopero lo si vede dalla partecipazione. Né nei trasporti né in alcun comparto pubblico o privato è mai stato consentito di verificare la “rappresentatività” in una votazione nazionale. Abbiamo sfidato più volte Cgil, Cisl e Uil e i governi a fare in tutti i comparti una votazione su scheda nazionale e vedere se siamo più “rappresentativi”. La prima occasione di accettare questa sfida sarebbe ravvicinata: a marzo 2018 con il rinnovo delle Rsu».

A QUESTE RAGIONI vanno aggiunte quelle di Usb, Sul e Faisa Confail contro la «privatizzazione» dei servizi pubblici. Ragioni, di solito rimosse da questi dibattiti, che riemergeranno con forza lunedì prossimo, 26 giugno, quando gli autoferrotramvieri sciopereranno per quattro ore. Com’è prevedibile, sarà una nuova occasione per attaccare il diritto allo sciopero dei sindacati di base. L’astensione è invece stata convocata contro il «colpo di mano» che ha cancellato le norme sul rapporto di lavoro stabilite da un «regio decreto» del 1931. La decisione è stata presa nella «manovrina» da poco approvata e introduce il Jobs Act anche in questo settore. Per i promotori dello sciopero prevede i licenziamenti individuali, esclusi in precedenza, ed esclude i sindacati di base dal rapporto negoziale. Per Usb l’abolizione della norma è «un attacco al lavoro pubblico, non solo agli autoferrotramvieri» ed è un nuovo passo verso la «privatizzazione» del servizio pubblico.