I prigionieri politici in sciopero della fame in Turchia continuano ad aumentare: dal 15 febbraio quando 13 detenute del carcere femminile di Sakran, a Smirne, hanno iniziato a rifiutare il cibo per protesta, oggi se ne contano 187.

Venti le prigioni coinvolte: chiedono la fine delle misure assunte nelle carceri contro i prigionieri politici dopo l’entrata in vigore dello stato di emergenza, parte della repressione governativa post-golpe.

Isolamento totale, celle sovraffollate (20 persone per spazi che ne possono contenere 10); divieto ad entrare negli spazi comuni e nelle librerie; torture; visite mediche in manette; limitazioni delle visite dei familiari; obbligo a portarsi addosso l’etichetta «terrorista» e tanto altro.

I detenuti in sciopero, turchi e kurdi, chiedono la fine dell’isolamento, la libertà per i prigionieri politici e la rimozione di pratiche degradanti.

A sostenere la loro lotta, da ieri, sono decine di comunità kurde in tutta Europa con una campagna per attirare l’attenzione sulle condizioni di vita dietro le sbarre: «Nell’iniziativa sono coinvolti tutti i centri kurdi in Europa: in Italia, Francia, Germania, Belgio, Svizzera – ci spiega Ozlem Tanrikulu, presidentessa dell’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia – La stessa cosa che fanno le famiglie dei detenuti a Diyarbakir, in sciopero per solidarietà. In Italia la staffetta dello sciopero della fame partirà da cinque amici kurdi del Centro Ararat di Roma».

«I 187 detenuti rischiano la vita, non toccano cibo da 55 giorni. Noi andremo avanti con lo sciopero della fame a tempo indeterminato e con sit-in e marce in tutta Europa per divulgare le richieste dei prigionieri».

L’obiettivo è accendere i riflettori sulle condizioni disumane nelle prigioni turche, inasprite dopo il tentato golpe e peggiorate dal sovraffollamento: dopo il 15 luglio 2016, decine di migliaia di persone sono state arrestate con l’accusa di legami con il Pkk o l’imam Gülen.