La prossima settimana sarà presentato un film documentario curato da Giulio Gargia: «La scomparsa dell’Auditel». L’autore è tra coloro che in varie sedi sottolineano da tempo l’anomalia dello strumento italiano di rilevazione dell’ascolto televisivo. Insieme – tra gli altri – a studiosi come Francesco Siliato e Roberta Gisotti (suoi due puntuali volumi sulla materia), Renato Parascandolo e Glauco Benigni.

Il caso è di nuovo deflagrato grazie ad una preziosa inchiesta del Corriere della sera, condotta da Massimo Sideri. E si ricordano i precedenti. E sì, perseverare non è considerato diabolico. Anzi, come ha dichiarato la stessa società dell’Auditel, si sarebbe trattato di un mero errore. Accidenti. Il campione delle 5.600 famiglie interessate dalle rilevazioni dovrebbe naturaliter essere segreto. Eppure i nomi viaggiano. E’ accaduto in passato.

Ma ora l’affare è diventato abnorme. Le quattro mail partite per sbaglio portano con sé – si dice – circa la metà del medesimo campione. Auditel addio, insieme al fornitore Nielsen. Gli «errori» reiterati sono, del resto, l’epifenomeno di una scelta di fondo grave e sbagliata. Intanto, nel consiglio dell’Auditel siedono i diretti interessati (Rai, tv private con Mediaset nella parte del leone, gli investitori pubblicitari -Upa, AssoComunicazione, Unicom- insieme alla minuscola quota assegnata agli editori): controllori e controllati coincidono.

Inoltre, l’analisi dei dati riguarda la carta geografica ingiallita del villaggio globale, appena allargata con l’entrata di Sky e di Discovery, senza – però – il nuovo continente della rete. Insomma, Cristo si è fermato al video classico, che non dà conto della reale evoluzione degli stili e delle forme del consumo. La rottura dell’abitudine del palinsesto orario e l’ubiquità delle piattaforme diffusive renderebbero doveroso lavorare per un’altra era. Tipologie e soggetti mutano e i consumatori ambiscono a produrre, a divenire prosumer. Quindi, va ripensato il meccanismo nel suo insieme.

I «bachi» sono solo un’avvisaglia di una crepa assai maggiore. Ancora. La rilevazione va affidata ad almeno due strutture, in concorrenza. E senza conflitti di interesse nei consigli di amministrazione, con una netta separazione dei ruoli. E’ argomento, peraltro, che starebbe in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Chissà se l’Agcom romperà la consegna del silenzio.

Non è argomento per esperti o appassionati. In verità la conta degli ascolti è il cuore dell’economia politica del settore. Da lì emergono salite e cadute di mercato, il costo dei contatti pubblicitari, gli equilibri di potere. L’Auditel è stato il perno del duopolio Rai-Mediaset, relegando alla periferia delle «altre» le emittenti estranee all’ordine costituito. C’è chi si è sbizzarrito su certe stranezze, come ad esempio i 400.000 utenti stabili attribuiti a lungo ai concerti lirico-sinfonici. Sarà. L’Auditel, dunque, si abbatte e non si cambia, per riprendere uno slogan del ’68. Un po’ estremo, ma pertinente.

Ultimo e, ovviamente, non ultimo. Fino a quando si continuerà a pensare all’ascolto solo in termini quantitativi? E il gradimento, il giudizio sulla qualità? Che ne è del «Qualitel», il meccanismo pensato proprio per superare il pallottoliere?

Che qualcosa non andasse era cosa nota. Non per caso sono state immaginate piccole riforme tanto nell’ampiezza del campione quanto nella tecnologia utilizzata. E’ tardi. Serve un colpo di spugna. Ora. Non potrebbe essere un emendamento da inserire nel testo in discussione in parlamento sulla Rai?