Un rapporto del ministero dell’istruzione della Corea del Sud ha rilevato un fenomeno piccolo ma allarmante. Diversi ragazzini minorenni, persino alcuni alunni di scuola media, risultano autori di pubblicazioni scientifiche. Non si tratta di enfant prodige, perché i ragazzi non hanno avuto alcun ruolo nelle adulti ad averli inseriti tra gli auricerche: sono i ricercatori tori di loro articoli scientifici. L’indagine ministeriale, spiega la rivista Nature, è partita a fine 2017 e finora ha individuato 24 articoli firmati da adolescenti senza alcun merito.
Gli scienziati responsabili della falsificazione sono per ora 17. In alcuni casi si tratta dei genitori dei ragazzi, altre volte il presunto genietto è il figlio un conoscente. Il ministero annuncia sanzioni e alcuni licenziamenti sono già avvenuti. In Corea del Sud, falsificare gli autori di una ricerca è considerata una frode scientifica grave.

MA PERCHÉ INTESTARE una ricerca a un ragazzino? Secondo gli ispettori, in molti dei casi accertati la falsa pubblicazione è servita a irrobustire il curriculum dei ragazzi per facilitarne l’ammissione all’università, divenuta sempre più selettiva. L’iscrizione in un ateneo sudcoreano è molto ambita a livello internazionale. Secondo la classifica della rivista Times Higher Education ben cinque delle migliori venti università asiatiche sono in Corea del Sud e nel 2018 vi si sono iscritti oltre 160mila studenti stranieri. La pressione a truccare i dati è dunque legata al carattere estremamente competitivo dell’istruzione superiore, in un Paese che investe in ricerca e sviluppo il 4.5% del Pil, più di ogni altro paese al mondo.

Tra le possibili frodi in campo scientifico, la falsificazione degli autori di uno studio è la più facile. Controllare davvero chi ha fatto cosa è impossibile e questo grado di libertà viene ampiamente manipolato in campo accademico per accelerare le carriere. Al momento di attribuire cattedre e promozioni, il curriculum di uno scienziato viene valutato soprattutto in base al numero di pubblicazioni scientifiche firmate. Inserire il nome di un autore indipendentemente dal suo contributo è una scorciatoia più «pulita» rispetto ad altri aggiramenti delle regole accademiche. Ma non è l’unica ragione.

In settori come quello farmaceutico, ad esempio, sembra diffusa la pratica del «ghost-writing», cioè l’attribuzione di uno studio a un accademico per nasconderne il vero autore in odore di conflitto di interessi. Il fenomeno, di cui è difficile tracciare i contorni reali, emerse soprattutto grazie a Peter Goetzsche, temutissimo ricercatore danese che ha dedicato tutta la carriera a scoprire frodi e cattive pratiche in ambito medico.

SU UN CAMPIONE di 44 casi Goetzsche nel 2007 dimostrò che in tre quarti dei test sull’efficacia dei farmaci finanziati dalle case farmaceutiche gli autori ufficiali non corrispondevano alle persone che avevano davvero realizzato lo studio. Le case farmaceutiche, cioè, preferiscono nascondere il contributo di scienziati direttamente stipendiati dall’azienda perché l’evidente conflitto di interesse comprometterebbe la credibilità dei risultati.

LA RICERCA DI GOETZSCHE era basata su un campione esiguo e particolarmente a rischio, e forse esagerava la dimensione del fenomeno. Ma l’incertezza sulla paternità di una ricerca è dimostrata dalla facilità con cui in un team di ricerca si può togliere o inserire qualunque nome, sia di un accademico che di un ragazzino. O addirittura un animale.
Già, perché in letteratura si trovano persino articoli firmati da mammiferi diversi da noi, come roditori, scimmie, cani e gatti. Talvolta, si è trattato di piccole burle ai danni dell’industria editoriale.

Il fisico J.H. Hetherington, contrario all’uso dell’«io» in una pubblicazione con un unico autore, nel 1975 decise aggiungere il nome del suo gatto Chester tra gli autori di un serissimo articolo sulle proprietà dell’elio sull’autorevole Physical Review Letters. Chester risulta anche unico autore di un altro articolo a cui lavoravano alcuni collaboratori di Hetherington. «Iniziarono a litigare su come organizzare il contenuto, e alla fine nessuno voleva più firmare il lavoro. Così decisero di pubblicarlo usando il nome del gatto», rivelò Hetherington.

NON FU L’UNICO CASO. La biologa Polly Matzinger nel 1978 fece firmare al suo cane Mirkwood un articolo sul Journal of Experimental Medicine. E Andre Geim sostenne che il suo co-autore (e criceto) H.A.M.S. ter Tisha aveva dato un contributo significativo in uno studio sulla micro-gravità pubblicato su Physica B.
Per prevenire l’uso troppo disinvolto delle attribuzioni delle ricerche, negli ultimi anni gli editori hanno stilato linee-guida che stabiliscono in quali casi il contributo a una ricerca dia il diritto di firmarla. Ma il riconoscimento dei meriti si è complicato ulteriormente con la nascita di mega-collaborazioni in cui figurano tantissimi scienziati sparsi in tutto il mondo.

OLTRE 400 RICERCHE l’anno vengono firmate da più di 200 autori. E quelle con più di mille autori superano il centinaio. Si tratta spesso di scoperte fondamentali nel campo della fisica o della genetica, ma come verificare che ogni autore abbia fatto la sua parte? Oppure, al contrario, come riconoscere il merito di chi ha reso possibile una scoperta con le sue idee, ma senza parteciparvi direttamente?
Nonostante gli aspetti paradossali, gli studi firmati da ragazzini, prestanome, animali e varia umanità segnalano un problema più profondo: la tensione irriducibile tra la natura collettiva della scienza e la necessità di trasformarne i prodotti in merce da scambiare con titoli e carriere accademiche secondo le leggi del mercato e della proprietà privata.

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NOTIZIARIO SCIENTIFICO

C’è un vaccino ufficiale contro Ebola
L’Agenzia europea per il farmaco ha approvato l’uso del vaccino contro il virus Ebola messo a punto dalla Merck e sperimentato durante l’epidemia del 2013-2016 in Sierra Leone e Guinea e dal 2018 in Repubblica Democratica del Congo. Il farmaco è stato ritenuto decisivo nel frenare l’epidemia in corso, che finora ha causato circa 2200 vittime. Nelle ultime settimane, tuttavia, si è registrato un miglioramento nell’evoluzione della malattia. Il numero di nuovi contagi è sceso a una decina a settimana, dieci volte meno rispetto all’inizio dell’estate scorsa. Anche la corrispondente agenzia statunitense si appresta ad approvare il vaccino. L’Ervebo (questo il nome commerciale della medicina) è stato sviluppato dagli scienziati del National Microbiology Laboratory di Winnipeg (Canada) nel 2003.

Terapia genica anti-distrofia, uno stop
Un test clinico per la terapia genica contro la «distrofia di Duchenne», in corso negli Stati Uniti, è stato sospeso dopo l’intossicazione di uno dei pazienti che partecipava alla sperimentazione. Il test era stato avviato dalla società Solid BioScience e consiste nell’inviare nelle cellule muscolari un virus che trasporta il gene responsabile della produzione di distrofina. Nei pazienti affetti da distrofia di Duchenne, tale gene è difettoso e il tasso di distrofina scende a livelli troppo bassi. L’individuo intossicato ha avuto una reazione immunitaria grave (reni e sangue) , ma secondo un comunicato della stessa BioScience le sue condizioni di salute stanno migliorando. Anche un altro farmaco, in corso di sperimentazione da parte della compagnia farmaceutica Pfizer, ha mostrato effetti indesiderati dello stesso tipo.

Stella velocissima al centro della Via Lattea

Astrofisici dell’osservatorio Southern Stellar Stream Spectroscopic Survey (S5) hanno osservato una stella che si muove alla velocità di 6 milioni di km/h vicino al centro della Via Lattea. Non è chiaro il motivo che ha provocato il moto così rapido della stella. L’indiziato è il «Meccanismo di Hills» (l’avvicinamento tra buco nero e sistema binario di stelle in rotazione). Una delle due stelle può essere inghiottita dal buco nero, ma l’altra subisce un’accelerazione che la porta a fuggire dal buco nero. Il meccanismo finora era stato ipotizzato solo in teoria e l’osservazione odierna potrebbe confermare il modello. Gli scienziati stimano che un corpo così massiccio lanciato alla velocità di 6 milioni di km/h sia destinato a uscire dal Sistema Solare. La scoperta è stata pubblicata sul Monthly Notice of the Royal Astronomical Society dallo scienziato dell’università Carnegie Mellon Sergey Koposov.