Accusa la cancelliera Angela Merkel di «attentare alla democrazia», chiude la porta alla Grande coalizione con la Cdu, dice no alla guerra in Iraq e Afghanistan e spara a zero contro i populisti: dai «neonazisti-light» di Alternative für Deutschland fino a Matteo Salvini.

Prima di ricordare a Mutti la lezione sull’Europa di… Helmut Kohl. È il «nuovo corso» di Martin Schulz, leader Spd e candidato alle elezioni federali del 24 settembre, scandito domenica dal palco del congresso straordinario Spd a Dortmund. Una virata politica, riassunta nel discorso-fiume di 79 minuti sulla «giustizia sociale» benedetto dall’ex cancelliere Gerhard Schröder, convinto che «nulla è deciso e ancora si può vincere».

Al di là della propaganda elettorale, per l’Spd si tratta davvero della «scelta della direzione» da seguire per arginare l’emorragia di consensi certificata dalle ultime tre elezioni regionali quanto dai sondaggi che restano impietosi (il rilevamento Emid di sabato fotografa 15 punti di distacco con Cdu-Csu). Da qui il cambio di rotta interpretato da Schulz e riassunto nelle 88 pagine del «piano di governo 2017-2021» (il programma elettorale) approvato quasi all’unanimità dai delegati Spd riuniti alla Westfalenhalle di Dortmund.

E da qui l’attacco frontale a Merkel, descritta come «nient’altro che l’arroganza al potere» e colpita dove fa più male: «L’idea dell’ex cancelliere Helmut Kohl (recentemente scomparso) era quella della Germania europea non dell’Europa germanizzata» è la stoccata all’ex «ragazza dell’Est» che governa Berlino al pari di Bruxelles.

Per Schulz «la strategia di Merkel si basa sulla cancellazione degli argomenti scomodi, mettendo sistematicamente a tacere ogni dibattito». Di più: «I tatticismi di Merkel sono un vero attacco alla democrazia».

Tecnicamente, a Berlino suona come «smobilitazione asimmetrica», strategia (vincente) che la cancelliera Cdu «ha adottato fin dal 2009» e che le ha consentito di addomesticare le grane politiche.
«Ma mentre l’Spd ha una visione precisa del Paese e dell’Europa, i cristiano-democratici non hanno nulla da offrire. Alle prossime elezioni il marchio-Merkel da solo non basterà più» profetizza Schulz tra gli applausi della platea.

Con lui – oltre al ministro degli Esteri Sigmar Gabriel, ex leader Spd – anche e soprattutto l’ex cancelliere Schröder che se la prende con «il risultato stabilito a priori da giornalisti e sondaggi» e arringa i delegati ricordando la performance Spd nel 2005: un recupero del 20% in poche settimane.

«A decidere saranno solo gli elettori. Un terzo sceglierà il giorno prima del voto. Vinceremo» sillogizza Schröder chiamando alla mobilitazione di «tutte le forze possibili». Con in più il sarcasmo che non manca a Schulz: «Per la mia idea combatto da una vita. Non l’ho messa in piedi bevendo birra sotto un tendone con il governatore bavarese Seehofer». Per l’aspirante-cancelliere è la difesa dei punti fermi, che va stabilita in tempi non sospetti: «Dico fin da ora che non farò mai accordi con chi rifiuta il matrimonio per tutti» giura Schulz chiudendo così all’ipotesi di riedizione della Grosse Koalition.

Poi invita alla smobilitazione dell’esercito tedesco da Iraq e Afghanistan e bolla come «irragionevole» l’obiettivo del 2% del Pil da destinare alla difesa. «Volete una Germania armata fino ai denti? La nostra storia insegna che ciò non porta più sicurezza» ricorda Schulz.

Due punti di apertura a sinistra: il disimpegno bellico dell’Spd figura tra le richieste della Linke come pregiudiziale per future convergenze. Come la «nuova Europa» immaginata da Schulz alternativa all’attuale Ue quanto alla visione dei leader populisti, non a caso citati uno a uno a Dortmund.
Nessun dialogo né fiducia neppure con Donald Trump «inaffidabile: come ha dimostrato il vertice di Taormina e come si è accorta tardivamente Merkel» attacca il leader Spd che non risparmia critiche neanche a Erdogan: «Torni alla democrazia». Resta da capire se tutto ciò basterà a creare un nuovo “effetto-Schulz”.