Schengen sopravvivrà all’inverno? La corsa alla limitazione della libera circolazione e alla chiusura delle frontiere per limitare l’afflusso di rifugiati si sta trasformando in un’isteria generalizzata che minaccia di morte l’accordo raggiunto trent’anni fa (e che ora riguarda 26 paesi, Ue e non Ue). La Francia ha rimesso i controlli alle frontiere con la proclamazione dello stato d’emergenza all’indomani degli attentati del 13 novembre (la misura era già in programma per la Cop21). Lo stato d’emergenza è stato votato per tre mesi, fino al 26 febbraio. Ma già François Hollande discute all’Eliseo con i leader politici, che fanno sapere che verrà sottoposto al parlamento un prolungamento per almeno altri tre mesi. Ieri, il primo ministro Manuel Valls ha addirittura evocato l’eventualità di uno stato d’emergenza prolungato sine die, “per tutto il tempo necessario, finché la minaccia dura dobbiamo utilizzare tutti i mezzi, fino a che non ci saremo sbarazzati di Daech”. Valls ha insistito sulla necessità di “misure urgenti per controllare le frontiere esterne”, sottolineando il rischio di un’Europa che “se non è in grado di proteggere i propri confini è l’idea stessa di Europa che sarà messa in discussione”. Valls rivela il sottofondo della posizione francese: “non possiamo accogliere tutti i rifugiati che fuggono dalle terribili guerre di Iraq e Siria – ha detto in un’intervista alla Bbc – altrimenti le nostre società saranno completamente destabilizzate”. Dal 5 febbraio, il parlamento francese discuterà sulla riforma costituzionale in preparazione, che dovrebbe contenere l’iscrizione nella carta dello stato d’emergenza e l’estensione della privazione della nazionalità per i bi-nazionali nati francesi, condannati per terrorismo. La polemica esplode in Francia. La Lega dei diritti dell’uomo (Ldh), ma anche l’Odine degli avvocati e molti magistrati esprimono preoccupazione per la sospensione dello stato di diritto (il 26 gennaio il Consiglio di stato esamina il ricorso della Ldh contro il prolungamento dello stato d’emergenza).

Poco per volta, i controlli alle frontiere sono stati ristabiliti nello spazio Schengen, con una buona dose di ipocrisia da parte di molti. A cominciare dalla Germania, che dopo aver aperto le porte ai rifugiati adesso moltiplica gli ostacoli, bloccando centinaia di persone ogni giorno alla frontiera con l’Austria. A sua volta, Vienna ha sospeso Schengen e, con effetto domino, il primo ministro sloveno, Miroslav Cerar, il 18 gennaio ha scritto una lettera ai partner Ue per chiedere aiuti alla Macedonia per controllare la frontiera con la Grecia. In precedenza, erano state Svezia e Danimarca a rimettere controlli alle frontiere, come già fatto dalla Norvegia (che non è nella Ue, ma fa parte di Schengen). L’Ungheria ha alzato muri e la Repubblica ceca abbassato da tempo le barriere.

La Commissione cerca per il momento di gettare acqua sul fuoco: “nessuna sospensione di Schengen è sul tavolo”, ha rassicurato ieri una portavoce dell’esecutivo di Bruxelles, ma il tema sarà dibattuto al Consiglio informale dei ministri degli Interni di lunedi’, ad Amsterdam. La Commissione vorrebbe rimandare la discussione al Consiglio europeo dei capi di stati e di governo del 18 febbraio, che sarà pero’ concentrato sulla minaccia di Brexit. Poi la prossima scadenza sarà il vertice di marzo, un po’ tardi per la Germania, che va alle urne in tre regioni il 13 di quel mese e dove Merkel teme un’impennata degli euroscettici dell’Afd. Il tempo stringe, perché a maggio scade il “permesso” ottenuto a metà settembre, da Germania e Austria, di effettuare controlli alle frontiere per due mesi, poi allungato di altri sei mesi a novembre, con l’obiettivo di far fronte alla crisi dei rifugiati. La precedente presidenza lussemburghese, a novembre, aveva proposto una sospensione di due anni, che puo’ venire accettata solo se viene constatata una deficienza di controlli alle frontiere esterne: la Grecia, in particolare, è sotto accusa (ma anche l’Italia è sospetta). Adesso la patata bollente è nelle mani della presidenza olandese, che ha messo nel suo programma l’attuazione della reinstallazione dei 160mila rifugiati decisa mesi fa (per ora solo 331 hanno trovato sistemazione) e la revisione del sistema di Dublino (che rimanda il migrante al paese di prima entrata).

Abolire Schengen costerebbe molto caro. Il capo della Camera di commercio tedesca, Martin Wansleben, afferma che potrebbe costare 10 miliardi di euro alla Germania. Per questo, esiste l’ipotesi di un mini-Schengen, senza Grecia e Italia, i due paesi “colabrodo”. Ieri, era a Berlino il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, con una delegazione di ministri. Sul tavolo della prima consultazione bilaterale anche l’accordo concluso a fine 2015 dei 3 miliardi di euro che la Ue dovrebbe versare a Ankara perché freni l’afflusso di siriani in Europa, ostaggio dell’Italia, che vuole ottenere in cambio maggiore flessibilità sui conti. Ma la Turchia ormai chiede più soldi a Bruxelles.