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Schengen, l’Ue chiede spiegazioni

Schengen, l’Ue chiede spiegazioni

Europa Bruxelles convoca i ministri di Svezia e Danimarca. L’Italia: «Non ripristineremo i controlli alle frontiere

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 6 gennaio 2016

A Bruxelles si preferisce evitare ogni drammatizzazione, ma la preoccupazione per la decisione presa da Svezia e Danimarca di ripristinare i controlli alle frontiere è a dir poco alta. Al punto che il commissario Ue all’immigrazione, il greco Dimitri Avramopoulos, ha convocato per stamattina i ministri dei due paesi e della Germania ai quali intende chiedere spiegazioni sulla scelta di sospendere Schengen, seppure temporaneamente. Decisione che se da una parte rientra tra le possibilità previste dal trattato, come sottolineano fonti diplomatiche, dall’altra rischia di provocare un effetto domino capace di mandare definitivamente in tilt l’intero sistema su cui da trent’anni si basa la libera circolazione all’interno dell’Unione europea. «Schengen è sotto pressione. Stiamo lavorando per riportare la situazione alla normalità attraverso una serie di misure. Ma nessuno ha la bacchetta magica», spiegava ieri la portavoce della Commissione Ue, Margaritis Schinas.
Il timore è che lo strappo messo in atto da Stoccolma e Copenhagen – e deciso in seguito agli arrivi in massa di richiedenti asilo – possa diventare definitivo, con conseguenze facilmente immaginabili. Anche perché già ci sono i paesi del blocco di Visegrad a premere per frontiere interne più sicure e presidiate contro i migranti.
L’atteggiamento che Bruxelles intende assumere oggi non sarà però uguale verso i due paesi del nord Europa. Alla Svezia viene infatti riconosciuto di essersi fatta carico finora di un numero consistente di migranti (163.000 per un paese con meno di 10 milioni di abitanti), al punto che già il 15 dicembre scorso la Commissione europea guidata da Jean Claude Juncker aveva deciso di esonerarla dall’obbligo di ricollocare i profughi provenienti da Italia e Grecia. Senza escludere la possibilità di redistribuire tra i 28 parte di quelli si trovano in territorio svedese. Tutt’altro discorso riguarda invece la Danimarca, che i profughi li ha visti soprattutto passare essendo paese di transito tra Germania e Svezia. Sia a Stoccolma che a Copenhagen verrà invece ricordato che non si possono annullare tre decenni di storia europea in un colpo solo e, soprattutto, in maniera unilaterale. Una preoccupazione sentita in maniera particolare dalla Germania, la prima a pagare per la decisione di chiudere le frontiere. Occorre «un maggior coordinamento» di fronte alla pressione migratoria, ricordava sempre ieri la portavoce della commissione Ue mentre il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, è tornato a invocare una soluzione europea alla crisi dei migranti e frontiere esterne più sicure.
Quanto accade ai confini settentrionali dell’Unione non lascia certo indifferente l’Italia che della stessa Unione rappresenta il confine meridionale, quello più esposto agli arrivi dei migranti. Nelle prossime settimane Matteo Renzi deve incontrare sia Juncker che la cancelliera tedesca Angela Merkel. A entrambi ribadirà di non voler seguire la stessa strada imboccata da Svezia e Danimarca ripristinando i controlli al confine con Austria e Slovenia (come confermato in serata anche dal ministro degli Interni Alfano), paesi dai quali non teme nessuna invasione. Trecento migranti a settimana – tanti sono infatti gli arrivi attuali – sono niente per un paese come l’Italia abituato ad accoglierne migliaia in un solo week end. Per il premier, semmai, le preoccupazioni sono altre e molto più serie. Le recenti esecuzioni compiute in Arabia saudita e le conseguenti tensioni tra sciiti e sunniti possono infatti mettere in pericolo sul nascere il già fragile processo di pace in Siria, il cui inizio è previsto per il 25 gennaio a Ginevra, con il rischio di provocare nuove e massicce ondate di profughi. Una eventualità che Roma vuole scongiurare a tutti i costi. Sul tavolo ci sarà quindi ancora una volta il problema dell’esternalizzazione delle frontiere dell’Ue, ma non solo. Il premier spingerà infatti soprattutto con Juncker perché faccia pressione sugli altri stati europei perché accolgano i profughi, dando così un senso al sistema dei ricollocamenti rimasto finora lettera morta. Anche a costo di ritorsioni economiche verso i paesi inadempienti. Non è possibile, ragionano infatti a palazzo Chigi, che quando si tratta di attingere ai finanziamenti comunitari tutti si sentano europei e quando invece bisogna dimostrarsi solidali non lo è più nessuno. Un concetto sul quale Renzi sa di trovare l’accordo non solo di Jucker, ma anche della Merkel.

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