Tra i cosiddetti scrittori ‘minimalisti’ degli anni Ottanta, in molti presero le distanze dall’etichetta che li voleva più o meno arbitrariamente inquadrati in uno stile omogeneo, sintetico e scarno. Mary Robison, fra questi, si dichiarò ironicamente «subtractionist», alludendo al minuzioso labor limae cui sottopone la sua scrittura, una tecnica che prende forma soprattutto nella seconda delle sue quattro raccolte di short stories, Guida alla notte per principianti, uscita in inglese nel 1983 e ora tradotta a cura di Sara Reggiani (Racconti edizioni, postfazione di Rossella Milone, pp. 148, € 16,00).

I protagonisti di questi tredici ritratti di famiglia sono perlopiù persone ordinarie ritratte in ambienti altrettanto ordinari della provincia americana, dove coltivano il sogno di una vita tranquilla e felice. Un allenatore di football, un’optometrista, studenti di college, casalinghe, coppie di mezz’età, impiegati e insegnanti apparentemente appagati dalla routine quotidiana sono spesso incapaci di affrontare gli imprevisti della vita, oppure cercano un equilibrio all’interno di famiglie disgregate tentando di riallacciare rapporti compromessi o perduti fra coniugi, figli e parenti.

I racconti di Robison somigliano a pièce teatrali: brevi dialoghi, frammenti di banali conversazioni brillantemente costruite mettono in scena interni familiari con le questioni che vi si agitano. In «Il dizionario nello scivolo della biancheria», Ed si dà una spuntata ai capelli in camera da letto mentre la moglie Angela passa l’aspirapolvere. Mentre lui la informa del fatto che si farà una doccia, lei gli notifica il fatto che deve stirarsi la camicetta perché avranno a cena lo psichiatra della figlia, Margaret, reduce da un incidente stradale che ha acuito il suo malessere psicologico. Ognuno sembra parlare per sé, alle domande seguono risposte inconseguenti, al dialogo si accompagna la minuziosa descrizione delle azioni dell’uomo, che si prepara per la doccia e della donna che armeggia con l’aspirapolvere. Nella seconda vignetta Ed è nella stanza della figlia, con la quale cerca di intavolare una chiacchierata scherzosa per rompere la tensione; entra il dottor Grosh, lo psichiatra, e il tono della conversazione cambia. Si passa quindi in corridoio, poi in cucina, poi in salotto per tornare infine nella camera da letto della coppia, a notte fonda, dopo aver attraversato l’intera casa e una giornata fatta di tentativi di mettere a fuoco le ragioni del pianto in cui Angela è, a un certo punto, scoppiata.

In «Coach», un padre di nome Harry Noonan cerca di controllare le dinamiche familiari nella nuova casa di una cittadina della Pennsylvania dove andrà a lavorare come allenatore della squadra di football del college. Lo incontriamo in cucina mentre lava i piatti della colazione e ascolta controvoglia i piani di indipendenza della moglie Sherry, determinata ad affittare un appartamento per sé, il suo «mondo a parte». E lo ritroveremo seduto ubriaco al tavolo della cucina alla fine del racconto per una bizzarra festa a cui, per ragioni diverse, si aggiungono figlia e moglie.

Scene domestiche in miniatura mettono a fuoco in poche pagine una situazione descritta con rigorosa selezione di parole, e dettagli tramite i quali Mary Robison entra nella biografia di persone distanti dalle loro emozioni. Come scrive Milone nella postfazione, questi personaggi somigliano a increspature d’acqua, piccole onde in frantumi, minuscoli squarci nelle trame di esistenze sopraffatte dall’inesplicabilità del vivere. «Guarda che un sacco di cose possono cambiarti attorno.

Forse adesso non ti sembra, ma devono cambiare per forza, no?, dice Greer al fratello in «I gemelli Wellman» quando infine escono dal gioco escogitato fin dall’infanzia per rivelarsi segreti, i quali altro non sono che bugie improvvisate per attrarre la reciproca attenzione. Non c’è passato né futuro in questi quadri umani, solo un presente stagnante e il sogno che qualcosa possa cambiare. Il loro fascino è dovuto soprattutto alla lingua tanto elaborata da risultare infine piana e domestica, dove anche i luoghi comuni più triti acquistano significato. A volte, però, la traduzione trascura questa meravigliosa caratteristica dell’originale, il cui stile sottrae peso alle parole e innalza le frasi più innocue a strumenti per entrare nella psiche dei personaggi.