Il Libano ieri ha rivissuto le stesse scene di orrore viste tante volte in questi ultimi mesi: cadaveri carbonizzati, carcasse di automobili in fiamme, edifici sventrati. Quest’anno sono stati soprattutto i quartieri sciiti di Beirut l’obiettivo di attentati compiuti da gruppi jihadisti e qaedisti intenzionati a far pagare al movimento Hezbollah la «colpa» di sostenere, anche con le armi, il presidente siriano Bashar Assad. L’attentato di ieri – che ha causato almeno 6 morti e 70 feriti nel centro della capitale – ha colpito nei pressi della sede del governo il convoglio di un ex ministro ed ex ambasciatore degli Stati Uniti apertamente schierato con il fronte anti-siriano «14 marzo». Si tratta di Mohammed Shattah, rimasto ucciso, stretto collaboratore dell’ex premier e leader dei sunniti libanesi Saad Hariri, figlio del primo ministro Rafiq Hariri morto nel 2005 in un attentato avvenuto nella stessa zona dell’esplosione ieri. Shattah si stava dirigendo a bordo della sua macchina proprio a una riunione del «14 marzo» .

Lo scoppio provocato da un ordigno di 50-60 kg è avvenuta lungo una delle arterie principali di Beirut che conduce all’edificio dove solitamente si riunisce la coalizione anti-siriana. Poco prima di rimanere ucciso Shattah aveva scritto su twitter che «Hezbollah (alleato di Damasco, ndr) chiede lo stesso potere di controllo e di sicurezza» che per lungo tempo aveva avuto la Siria in Libano. Shattah era da due anni la voce di Saad Hariri, di fatto fuggito dal Libano dopo aver dato le dimissioni da premier e protetto dall’Arabia saudita, grande sponsor in Libano del fronte sunnita più militante e anti-sciita. La sua uccisione, secondo l’opinione di una parte dei libanesi, è allo stesso tempo un avvertimento ad Hariri e una ritorsione per le dozzine di morti sciiti provocati dai qaedisti in questi mesi, Il «Fronte 14 marzo» perciò ha subito puntato l’indice contro il movimento Hezbollah e Damasco.

Hariri ha accusato il movimento sciita di essere implicato nell’attentato. Ha anche fatto riferimento al presunto coinvolgimento nell’assassinio di suo padre di alcuni militanti di Hezbollah, rinviati a giudizio (ma mai consegnati alle autorità internazionali) dal procuratore del Tribunale Speciale per il Libano che il prossimo 16 gennaio aprirà il processo all’Aja. Hezbollah viene accusato dal «Fronte 14 marzo» di «aver portato» i qaedisti in Libano a causa delle migliaia di suoi guerriglieri che combattono in Siria in appoggio alle truppe dell’esercito governativo. Il segretario del movimento sciita, Hassan Nasrallah, da parte sua giustifica l’invio dei suoi migliori combattenti in Siria con la necessità di impedire che non solo Damasco e ma anche Beirut cadano nelle mani dei takfir, ossia di qaedisti e jihadisti di varie tendenze.

Ieri Hezbollah non ha commentato le accuse di Hariri e ha scelto solo di condannare l’attentato che ha ucciso Shattah. «L’orrendo crimine si inserisce nella catena di crimini e attentati che mirano a distruggere il Paese. È l’ennesimo tentativo di colpire la stabilità e minare l’unità della patria. Solo i nemici del Libano traggono beneficio da questi tentativi», ha scritto il movimento sciita in un comunicato diffuso dalla sua televisione, al Manar. La Siria da parte sua ha respinto ogni coinvolgimento. «Queste accuse false e arbitrarie vengono avanzate in un contesto di odio politico», ha dichiarato il ministro dell’informazione siriano, Omran al Zohbi.

L’ultimo attentato a Beirut in termini di tempo risale al 19 novembre quando un duplice attacco suicida aveva colpito l’ambasciata dell’Iran, alleato di Damasco, provocando 25 morti. Dal 2005 al 2012, una serie di attentati e di omicidi hanno preso di mira alte sfere politiche e militari libanesi ed esponenti della società civile e giornalisti, come Samir Kassir una delle penne più abili del Paese de Cedri. Nell’ottobre dello scorso anno, in un attentato devastante sempre nella capitale libanese, rimase ucciso il capo dell’intelligence delle Forze di sicurezza interna, generale Wissam al Hassan, un sunnita anche lui vicino a Saad Hariri. L’attacco più drammatico e spettacolare era stato quello sul lungomare di Beirut del 14 febbraio 2005 costato la vita a Rafik Hariri e ad altre 21 persone. Il Libano ha già vissuto una guerra civile, tra il 1975 e il 1990, costata la vita di migliaia di persone. Ora paga la sua vicinanza – geografica, politica e sociale – con la Siria dilaniata da un conflitto interno che ha già fatto almeno 120mila morti. Il Paese dei Cedri corre il serio pericolo di precipitare in una nuova guerra civile che a differenza della prima non vedrebbe più scontrarsi cristiani e musulmani ma sunniti e sciiti.