Non accade nulla, è la traduzione italiana del titolo del film svizzero Nichts passiert di Micha Lewinsky presentato in concorso al neonato Bolzano Film Festival Bozen (13-17 aprile). Neonato sì – sia nel nome che nella formula – ma in realtà la rassegna festeggia il 30esimo compleanno essendo l’evoluzione degli storici Bozner Filmtage, sorti nel lontano 1987 nel capoluogo dell’Alto Adige per volere di Martin Kaufmann e il gruppo di appassionati riuniti attorno al Filmclub.

La rinnovata manifestazione – anche nella direzione artistica, condivisa da Kaufman con Helene Christanell, prevede un Focus Europa (quest’anno la Slovenia), un ospite speciale (Sergio Castellitto), esempi di cinema ritrovato, in omaggio al festival omonimo della Cineteca di Bologna, una selezione dai film ormai numerosi girati in Alto Adige, grazie ai contributi della provincia e della scuola di cinema documentaristico Zelig.
Zona di frontiera da sempre l’Alto Adige è ora sulla bocca di tutti, da quando al Brennero le ruspe hanno iniziato a innalzare le barriere per segnare con la forza dei fili di ferro un confine soprannominato «di seta» perché ormai invisibile. E proprio da qui trae origine la giuria studenti Euregio (nome che corrisponde all’unione economico-culturale delle tre province, il Tirolo del Nord austriaco, il Sudtirolo Alto Adige e il Trentino, entrambe italiane) che ha assegnato il premio della giuria a un film che sarà visto e discusso nelle scuole di Innsbruck, Bolzano e Trento alla presenza del regista con moderazione degli stessi ragazzi.

Ironia della sorte, i nove componenti (tre per ogni provincia) hanno scelto un film che parla di una terra di conflitti come il Kurdistan al confine tra Siria e Iraq? Die Schwalbe di Mano Khalil, originario di quella zona vive e lavora in Svizzera, è l’esordio nella finzione di chi ha già scavato nella difficile situazione del suo popolo: parla di una giovane donna svizzera alla ricerca del padre e delle radici nella terra del conflitto, etnico-religioso-culturale. E qui torniamo al già citato Nichts passiert che narra (o dovrebbe narrare?) la vacanza di una famiglia «normale» di un uomo «normale». Lui stesso si definisce tale durante il colloquio con la psicoterapeuta che apre il film. Infatti, tutto ruota attorno a Thomas, interpretato straordinariamente dall’attore tedesco Devid Striesow che presta corpo e soprattutto il volto da ragazzino spaesato. Un horror del quotidiano. La settimana bianca si trasforma in incubo mentre la spirale surreale della violenza si stringe attorno al padre di famiglia, che con sorrisini e tentativi di far pace con tutti finisce per esasperarli: la moglie scrittrice si vuole separare, la figlia si mangia letteralmente la frustrazione addosso, la figlia del capo venuta con loro – in realtà «parcheggiata» dati gli impegni dei genitori divorziati – inizialmente lo vede come persona di fiducia, poi si ricrede e fugge, finendo all’ospedale.

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Ma sotto la maschera di «persona normale» e accomodante, scopriamo che Thomas persegue un suo personale interesse. Lewinsky ci butta in faccia una storia che nel suo confine sottilmente stilizzato tra realtà e finzione è specchio dei tipici atteggiamenti superficialmente armoniosi in una società fondata sul perbenismo, punta dell’iceberg di una violenza sotterranea inespressa. La terra dei santi di Fernando Muraca va oltre. Di origini calabresi, Muraca ha voluto indagare un mondo sommerso, quello femminile della ‘ndrangeta a partire dalla domanda che è un po’ il cuore del film: perché le donne lasciano che i loro figli rischino la vita in attività illecite fino a farsi ammazzare? «Per soldi?» si chiede la donna giudice del nord (Valeria Solarino), e dopo essersi risposta «no» continua nella riflessione e nell’indagine.

Muraca esplora da dentro i meccanismi della famiglia malavitosa: il capo vive clandestino nella casa grotta, la moglie complice conduce gli affari, la sorella di lei è sposata a forza e perde il figlio maggiore rimasto ucciso al posto del cugino, ossia il figlio del capo. Non è d’azione piuttosto di silenzio, questo film, scritto sei anni fa con Monica Zapelli, già sceneggiatrice dei Cento passi di M.T. Giordana. Ciò che nel film è invenzione narrativa, si è fatto realtà dal 2012 a Reggio Calabria: il giudice Di Bella ha stilato un protocollo per togliere i figli minorenni ai genitori mafiosi e dare loro l’opportunità di scegliere una vita lontana dal crimine.
Usando le leggi di sempre, sulla tutela dei minori. Immagini potenti, emozioni iscritte sui volti delle due donne mafiose (Lorenza Indovina e Daniela Marra) conducono al finale struggente che capovolge la domanda di partenza: che ruolo ha in tutto questo la società?