Primo piano di un giovane uomo. Il viso è serissimo, poi spuntano delle lacrime. Il campo si allarga, l’uomo è sul cornicione di un ponte di Los Angeles, in procinto di suicidarsi. Queste sono state le prime immagini della nuova edizione del festival di Locarno. Non solo tristissime, ma anche poco rassicuranti nel mostrare un’umanità infelice, travolta da un mondo che continua a girare, ma in una direzione che appare sempre più sbagliata. Chissà se si tratta di una sorta di manifesto programmatico del secondo anno di direzione Chatrian. L’immagine d’apertura raccontata appartiene a Thirst il corto di Rachel McDonald e il giovane è Josh Pence, Billy nella fiction. Come tanti sbarcato nella città degli angeli in cerca di gloria e successo, finito invece per essere una nullità che vive senza più speranza in un tugurio.

Suicidarsi però è difficile, Bill ci ripensa, raccatta le quattro monete che gli sono rimaste e va in cerca di cibo e magari lavoro. Trova un hot dog e un rimpiazzo: sostituto per qualche giorno di un barista malato in un locale davvero malmesso. Uno di quelli dove i clienti sono quasi stanziali, alcolisti che dal mattino alla sera fanno le «mosche da bar» come recitava il titolo d’un film di molti anni fa, tratto da un racconto di Bukowski. C’è lo scontroso Fielding, poi uomini senza nome e Sue, la prostituta ormai all’ultimo stadio della deriva, che rimedia qualche dollaro lavorando di bocca nel cesso, per poi sciacquarsi con la vodka.

Eppure è proprio questa umanità che ha bisogno a suo modo di Billy a fargli ritrovare un briciolo di speranza. Nonostante sia decisamente di buona fattura nel dipingere la città degli angeli spiata dalla porta di servizio, forse Thirst non avrebbe avuto tanta visibilità se nella parte di Sue non ci fosse stata Melanie Griffith, magnifica nell’offrirsi senza alcun ritegno divistico a rappresentare un personaggio simbolo di un’umanità che ha preso troppe botte dalla vita e i segni purtroppo si vedono tutti.

Di tutt’altro genere è Lucy. Il personaggio femminile creato da Luc Besson per Scarlett Johansson che ha ufficialmente inaugurato il festival. Incontriamo la protagonista, una giovane studentessa statunitense, a Taiwan, dove sta discutendo con il suo boyfriend occasionale. Lui vorrebbe che lei entrasse in un lussuoso albergo con una valigetta e la consegnasse a un misterioso orientale. Lei è studentessa, mica scema, lo fa solo quando viene costretta. Inizia così un’avventura fantasy scandita dai ritmi del thriller. Con Lucy che ha lo stesso nome della prima donna di oltre tre milioni di anni fa il cui scheletro, quasi intero, venne rinvenuto in Etiopia.

Da lì comincia l’azione perché la valigetta contiene cristalli di Cph4, una potentissima droga che qualcuno ha sintetizzato. Il fatto che sia droga e il nome sono un’invenzione di Besson, in realtà il riferimento è a una molecola particolare che le donne in attesa trasmettono al figlio attorno al sesto mese di gravidanza. Racconta Besson che ne viene rilasciata una piccolissima quantità, fondamentale per la crescita del bimbo.

Ma qui siamo nella fiction, l’involucro che racchiude Chp4 piazzato sottopelle alla malcapitata Lucy che dovrebbe fare da mulo, si rompe accidentalmente e lei ne assorbe grandi quantità, così un po’ alla volta acquisisce capacità davvero sorprendenti. La chiave starebbe nel fatto che noi usiamo solo una piccola percentuale del nostro cervello, mentre quella molecola permette di raggiungere livelli fantastici con i miliardi di neuroni che lavorano a ritmi sconvolgenti con risultati stupefacenti.

Besson spruzza pillole di scientificità con Morgan Freeman professore che pontifica «dall’evoluzione alla rivoluzione», piazza anche immagini naturalistiche in montaggio alternato a quel che succede nel film, ma i momenti più efficaci sono quelli in cui Lucy si sbarazza di alcuni cattivoni con il solo pensiero, capace di sgominare e mettere fuori gioco squadroni di criminali incalliti con le armi spianate. L’azione reinventata con il fantasy è piuttosto divertente, meno interessante l’insistenza sull’aspetto scientifico e ancor meno quello filosofico. Detto questo Scarlett è perfetta nei panni della supereroina che pratica telepatia, telecinesi e altre diavolerie sinaptiche.