«Grande è la confusione sotto cielo, quindi la situazione è eccellente», dicevamo un tempo, ripetendo l’aforismo maoista. Ma oggi non è così, soprattutto perché la confusione invade il nostro campo, o quello che presumiamo tale.

A pochi mesi dalle elezioni nessuno può dire se, quale e quante liste ci saranno alla sinistra del Pd. Proprio quando quest’ultimo vive una crisi di credibilità e di solidità evidente a tutti.

La debacle nel referendum del 4 dicembre ha scosso i rami alti della politica. Un governo, per quanto fotocopia, si è sostituito al precedente. L’astro di Renzi brilla in cerchie ristrette. Il Pd ha subito una diaspora nei gruppi dirigenti e una scissione.

La stessa avventura di Pisapia, si sta rivelando un flop. Al punto che Renzi è costretto ad ingaggiare Fassino, al termine di una Direzione dagli esiti scontati, per cercare di ricostruire buoni rapporti elettorali sul fronte sinistro. Ma la scelta della persona già dimostra che si tratta più di una mossa da mission impossible, che non di un progetto convinto.

In un anno tutto è cambiato nel quadro politico italiano, almeno alla sua superficie, che è pur sempre qualcosa.

Ma le novità che dovrebbero risultare favorevoli e positive per la costruzione di una nuova forza di sinistra di alternativa vengono lette come una difficoltà in luogo di una potenzialità. L’annullamento della assemblea del Brancaccio non ha certo contribuito a diradare la nebbia.

Le scuse che Montanari e Falcone hanno rivolto a tutti coloro che hanno dato vita a questo progetto non sono ovviamente sufficienti, anche se doverose, a risollevare dalla delusione e dallo smarrimento, per non dire peggio, chi ha dato vita e partecipato a ben 98 assemblee che si sono tenute in giro per l’Italia in questi ultimi mesi.

Né lo potrà fare la resurrezione annunciata dell’assemblea romana, a quanto pare in altra e polemica chiave, dal video di “Je so’ pazzo”, il centro sociale napoletano.

A meno che questo appuntamento non possa diventare l’occasione per una inedita riflessione, anche pesantemente critica, sul rapporto fra bisogni e diritti negati, lotte sociali e rappresentanza politica.

Naturalmente le responsabilità di quanto è accaduto sono ben distribuite, anche se in proporzioni diverse, ma è francamente sconfortante il gioco dello scaricabarile.

Quello che serve è concentrarsi sull’obbiettivo che non dovremmo mancare. Qui si tratta di decidere se la sinistra avrà o no una sua rappresentanza in parlamento.

Non siamo ancora di fronte al problema di dare vita ad un nuovo soggetto politico di sinistra. Aprire un processo costituente in questa direzione è indispensabile. Ma affidarlo alla scadenza elettorale sarebbe una sciocchezza. Questa al massimo deve porsi l’obiettivo di non contraddire tale processo.

Per questa ragione una lista di sinistra non può che rifiutare la prospettiva della riedizione del centrosinistra, peraltro con un centro, il Pd, che guarda a destra.

Deve sì sapere parlare all’intero paese con i suoi programmi, ma senza l’ossessione di occupare posizioni di governo in tempi politicamente prevedibili, sia perché la sua credibilità ha bisogno di un certo tempo per affermarsi, sia anche perché l’esperienza storica del più grande partito comunista dell’Occidente ci ha dimostrato che le migliori riforme sono state ottenute lottando dall’opposizione.

Ma allo stesso tempo deve costruire le condizioni per eleggere una rappresentanza, senza la quale il rapporto fra lotte sociali e battaglie istituzionali sarebbe spezzato per la mancanza di queste ultime. E gli effetti sarebbero deprimenti rispetto all’avvio di un processo costituente per un nuovo soggetto politico.

Qui sta la scelta da fare: o puntare su una lista unitaria che raccolga, su chiari programmi, scelte innovative e democratiche delle candidature, partecipazione a queste scelte dei movimenti e dei protagonisti delle tante assemblee territoriali; oppure accontentarsi di una lista costruita su un’area più ristretta di vicinanza.

In entrambi i casi la soglia del quorum non è garantita, anche se si tratta solo del 3%: dipende dalla qualità e dalla credibilità delle inevitabili mediazioni sui programmi e dalla democraticità dei criteri nella scelta dei candidati, ma accettare le due, o più, liste ci espone al pericolo maggiore e forse letale.

Ma soprattutto ci sgrava dalla lotta per l’egemonia nel campo della sinistra, necessaria proprio se si pensa alla “tenuta” dei gruppi parlamentari futuri, agli appuntamenti elettorali prossimi, fra cui quello europeo del 2019, alla costruzione di un soggetto politico.

Il tempo è brevissimo. Ma le fila che si sono spezzate possono essere riannodate. Non bisogna rassegnarsi. Né ingigantire le capacità attrattive del Pd con il ricatto del ritorno delle destre, da lui stesso e dai suoi governi alimentate, o dei 5Stelle, il cui appannamento non è sfuggito a nessuno.

Serve invece un sussulto di intelligenza e di umiltà, in primo luogo da parte di chi ha maggiori responsabilità nelle organizzazioni politiche e nei movimenti, anche con qualche passo a lato nelle candidature, per tornare ad incontrarsi in tutte le forme possibili e necessarie per dare vita ad una lista unitaria di sinistra.