Un segno grafico che va in direzioni diverse (dietro, sotto, lungo i margini dei fogli), su superfici variegate (carta, legno, rame, muro, pelle, strada, tela, libri contabili) e anche si attua in modo differente (sovrappensiero, con la mescalina, come diversivo rilassante, con la mano sinistra, camminando, quando si è in prigione o quando, come fece Michelangelo per sfuggire ai Medici, si sta nascosti e rinchiusi in una piccola cella). Accade che nei secoli dell’arte, a partire dal Rinascimento, sempre scorra una dimensione artistica parallela, a volte dalla critica considerata minore oppure, in tempi più recenti, rivalutata come forma d’arte di valore. Al gribouillage è dedicata una grande mostra a Villa Medici ) a cura di Francesca Alberti e Diane Bodart (Gribouillage / scarabocchio, Da Leonardo da Vinci a Cy Twombly, fino al 22 maggio).
Da conscribillare a scribble, al gribouiller o griffonner, al kriebelen allo schiccherare, al doodle: una pratica sempre esistita – da Benozzo Gozzoli a Basquiat – esplorata dalle curatrici con dovizia di approfondimenti, seguendo un filo cronologico mai rigido. Così, nella prima sala, ci si trova con Giacometti, fotografato da Inge Morath, che, nel suo atelier, incornicia un graffito sul muro, con i disegni a carboncino su una parete della casa fiorentina di Mino da Fiesole e con la fotografia dello studio di Mirò a Maiorca. Giusto per dirci che negli studi d’artista la pratica era quella (e viene in mente anche Bacon che prova i colori sulle porte e sui muri dello studio).

FEDERICO ZUCCARI (1595) fa uno schizzo del fratello che dipinge, alla finestra, la luna: le ante della finestra sono riempite da prove di disegno di vario tipo cosi come vari e variegati sono i profili caricaturali sul retro dei pannelli laterali del Trittico della Madonna col bambino di Giovanni Bellini (1454 -1460): un fronte cristallino e perfetto, tempera e foglia d’oro e un retro sguaiato e sfogante con moti del viso affatto eleganti. La contaminazione del razionale, del desiderato dal committente, del bello con la semplicità quotidiana, con i sentimenti non nobili e la parte meno presentabile di noi stessi salta spesso fuori: Pontormo e Bronzino con studi di drappeggi a sanguigna che si alternano ad abbozzi di occhi e a teste comiche, Michelangelo che profitta dei disegni per scrivere brevi suggerimenti agli allievi, Algardi che, accanto al disegno preparatorio per una fontana annota i conti delle spese e disegna una testa con fez; Delacroix che, intorno a una litografia per la traduzione francese del Faust, si sfoga tratteggiando masse dei suoi amati animali orientali.

VECCHIE CARTE e libri contabili uniscono passato e presente: Alechinsky sovrappone alle scritture contabili disegni veloci, estraendo forme organiche dai paragrafi scritti e i registri del Banco del Popolo- Giornale copiapolizze, sono aperti a quella pagina in cui lo scrivano si distende e si rallegra disegnando un pupazzo/fantoccio. Belle pagine caricaturali (Agostino Carracci, Bernini e Baciccio) portano fino ai Miserabili miracoli mescaliniani di Michaud e addirittura fino ai leonardeschi componimenti inculti: grovigli di linee che, da un’iniziale fertile confusione, fanno emergere la forma finale (in Federico Barocci come in Cy Twombly, Fautrier e Fontana).
Boise, Idaho, 1971. Il piccolo Erik Oppenheim disegna sulla schiena del padre Dennis che a sua volta – pantografo umano – duplica sul muro, tramite la propria percezione, quanto il figlio sta tracciando. Anche questa una forma di gribouillage, alla cieca ma non del tutto.

RESTA NEGLI OCCHI e nel cuore Jean-Michel Basquiat, le sue struggenti cancellature, i © e una testa nera col teschio che si sta staccando. In quello stesso momento l’amico Keith Haring lasciava graffiti bianchi sul corpo divino di Grace Jones. Anche David Byrne – in tempi di pandemia – ha disegnato bellissime e leggere figurazioni a ghirigoro. È l’inconscio, appesantito, che cerca di svuotarsi.