Potrà sembrare strano nei nostri tempi in cui il vivere in ambienti asettici e sterilizzati rappresenta un valore, ma una delle civiltà che ha prodotto forme sublimi di espressione artistica, quella egizia, ha avuto una vera e propria venerazione per degli organismi che oggi considereremmo come repellenti e disgustosi: dei bacherozzi che si nutrono di cacca. E non era una scelta dissennata, ma anzi antesignana di una raffinata coscienza ecologica. I bacherozzi in questione erano degli scarabei, così al centro dell’immaginario mistico-religioso egizio da assurgere a «sacri».
Lo Scarabeo sacro (Scarabaeus sacer) è un coleottero che presenta una smodata predilezione alimentare per lo sterco di bestiame pascolante, di cui si nutre sia da adulto sia allo stato larvale. Gli adulti giungono rapidamente in volo sul letame fresco irresistibilmente attratti dall’olezzo che da questo si diffonde e cominciano a staccarne e a modellarne pezzi. Sono coadiuvati in questo dalla particolare morfologia del capo, simile ad un’ampia vanga orlata da sei punte, e dalle zampe anteriori, che terminano a forma di spatola allungata, provvista anch’essa di quattro punte sul margine esterno. Dopo tanto scavare e modellare, gli scarabei si allontanano con una palla di sterco, spesso ben più grande di loro, che spingono camminando a ritroso facendola rotolare con le zampe posteriori. Siamo spiacenti per la specie umana e per quel nostro ignoto antenato cui, con l’invenzione della ruota, attribuiamo l’avvio dei trasporti su terra, della rivoluzione meccanica e persino della civiltà, ma gli scarabei hanno inconsapevolmente scoperto i vantaggi dell’attrito volvente ben prima di noi.
Le operazioni di modellatura della palla variano alquanto a seconda della «massa» di partenza, ad esempio se questa è di origine bovina o ovina. Nel primo caso gli scarabei ne asportano un pezzo, nel secondo formano la palla per apposizione di pezzi più piccoli. Ad ogni modo, una volta approntata la loro ambita sfera percorrono un tragitto più o meno lungo che li porta ad allontanarsi alla ricerca di un luogo in cui banchettare in tutta tranquillità. E non si tratta di un viaggio privo di difficoltà. Anche una piccola salita, specialmente se il fondo è accidentato, può rivelarsi un ostacolo arduo da superare, soprattutto con un fardello che tende naturalmente ad assecondare la gravità. Oppure per i furti, altra invenzione non umana in cui noi però eccelliamo, visto che appropriarsi di una palla già pronta è più rapido e semplice che prepararsene una nuova.
Una volta giunto in un sito che ad insindacabile valutazione dello scarabeo è idoneo, questo provvede ad interrare il prezioso carico in una camera sotterranea dove potrà nutrirsene senza rischiare che sgraditi commensali possano approfittarne. L’appagamento del proprio istinto coprofago sarà però soltanto temporaneo: lo scarabeo infatti tornerà presto in superficie per mettersi alla ricerca di un altro pasto da «rotolare». Spesso si osservano due scarabei che collaborano al trasporto di una palla: si tratta in questi casi di una coppia, in cui in genere il lavoro più gravoso è svolto dal maschio mentre dopo l’interramento è la femmina che sazierà il proprio appetito. Tale «galanteria» del maschio nei confronti della femmina viene interpretata come una sorta di offerta nuziale propedeutica all’accoppiamento, che può avvenire sia nella camera sotterranea sia in superficie. Il consumo di letame da parte degli adulti può durare per circa un mese, periodo necessario alla maturazione degli ovari delle femmine.
Il comportamento «rotolatore» dello Scarabeo sacro si ritrova anche nelle particolari cure parentali che le femmine dedicano alla propria prole. Anche le larve sono coprofaghe ma essendo particolarmente limitate nei movimenti hanno bisogno che la madre forniscono loro in anticipo tutto il nutrimento di cui avranno bisogno nel corso del loro sviluppo ed accrescimento. Al momento di ovideporre, pertanto, la femmina dello Scarabeo sacro sceglie con particolare cura dello sterco e lo trasporta come di consueto. La massa interrata, tuttavia, viene modellata a forma di pera, nella cui sommità la femmina ricava una piccola cavità in cui depone un singolo uovo. Terminata l’operazione la femmina abbandona la camera e ripeterà il processo per tutte le uova che sarà in grado di deporre, circa una dozzina, approfittando della maturazione non simultanea delle sue uova.
Considerando le palle di sterco rimosse dalla superficie, sia quelle ad esclusivo scopo alimentare sia quelle per sfamare la progenie, sarà evidente il fondamentale ruolo ecologico svolto da questi insetti nella ripulitura degli ambienti favorendo la decomposizione delle deiezioni animali ed il riciclo delle sostanze organiche. Sarà forse per questo che gli antichi egizi li veneravano? Probabilmente a tale popolo, che comunque derivò dall’unione di allevatori nomadi di bestiame con gli agricoltori stanziali della Valle del Nilo, sfuggivano i più fini concetti di ciclizzazione dei nutrienti negli ecosistemi, ma essi avevano colto l’importanza di una serie di cicli che così bene venivano simboleggiati dallo scarabeo. Così l’alternarsi delle stagioni con la ricomparsa periodica dell’insetto dopo le inondazioni del Nilo, i cicli delle produzioni vegetali e animali legate al regime del fiume e il corso stesso del sole nel cielo, sole tondo come la preziosa sfera dello scarabeo che sembra addirittura emanare raggi nelle quattordici punte del capo e delle zampe anteriori del coleottero.
Le prime testimonianze di un legame tra gli Egizi e lo scarabeo risalgono al IV millennio a.C., epoca in cui degli scarabei vennero inseriti nei vasi di un corredo funebre, mentre è degli inizi del III a.C. una piccola teca in alabastro a forma di scarabeo, forse atta proprio al trasporto di uno di questi coleotteri da «passeggio». L’originario simbolismo associato allo scarabeo fu comunque quello solare, anche in considerazione del fatto che il rotolamento della palla di sterco ed il suo interramento ben corrispondevano al corso del sole che gli Egizi vedevano ogni giorno scomparire nelle terre d’occidente, mentre la ricomparsa dell’astro «rigenerato» in quelle d’oriente al mattino non poteva non richiamare la fuoriuscita da terra degli scarabei pronti a un altro ciclo. Ecco che venne a strutturarsi la figura di Khepri, il dio sole scarabeo, originariamente designato a rappresentare l’astro durante l’intero suo corso nel cielo dall’alba al tramonto, ma successivamente associato esclusivamente al sole nascente. Il nome Khepri, che significa «l’esistente, colui che è», rimanda infatti a «kheper» (esistere, essere generato) e a «khepru» (trasformare), due aspetti che ritroviamo nella vita degli scarabei e che evidentemente non poterono non colpire gli antichi sacerdoti egizi: il fatto di comparire nella massa di sterco sotterrata (la pera d’allevamento approntata dalla femmina) e di passare attraverso una trasformazione, una metamorfosi. E qui, non è necessario essere degli entomologi per rilevare le evidenti analogie tra il ciclo biologico dello Scarabeo sacro ed i costumi funerari degli Egizi: sepolture in camere sotterranee, fornitura di cibo e soprattutto mummificazione e fasciatura del corpo come se fosse una pupa, lo stadio soltanto superficialmente quiescente che sancisce la trasformazione della larva nell’insetto adulto.

[do action=”citazione”]Una specie oggi in declino in Italia, anche a causa dello sfruttamento edilizio dei litorali[/do]

L’arte egizia ci ha tramandato innumerevoli raffigurazioni di Khepri-scarabeo. Amuleti e talismani a forma di scarabeo sono stati estesamente usati durante tutto il periodo che va dall’Antico al Nuovo Regno (III-I millennio a.C.), assumendo nel tempo anche la funzione di sigilli identificativi dei proprietari, di marchi di prodotti negli scambi commerciali, di oggetti per ricordare anniversari e celebrare ricorrenze. Scarabei incisi nella pietra sono stati poi diffusi dai Fenici in gran parte del Mediterraneo e oggi rappresentano un’importante fonte d’informazione sulla vita e sui contatti tra le antiche civiltà mediterranee e del vicino oriente.
Come se la passa al mondo d’oggi questo mitico insetto così caro agli antichi? Male, soprattutto in Italia, dove una volta era abbastanza diffuso, in particolare lungo le coste della penisola, specialmente sui versanti tirrenico e ionico, e nelle isole maggiori (Sardegna, Sicilia) e minori (Elba, Eolie, Tremiti). La sconsiderata aggressione perpetrata ai danni dei nostri litorali per motivi di sfruttamento turistico-edilizio da un lato e l’abbandono delle pratiche di pascolo brado dall’altro hanno determinato la progressiva scomparsa di questa specie e, in generale, di tutti i grossi scarabei «rotolatori» di sterco da gran parte delle zone dove una volta prosperavano. Oltre al vero e proprio Scarabeo sacro, infatti, in Italia vivono altre cinque specie di scarabei in tutto simili come aspetto ed abitudini, tutte in forte declino. Rispetto ad altri insetti capaci di produrre centinaia o migliaia di uova, le elaborate cure parentali degli scarabei comportano un bassissimo potenziale potenziale riproduttivo da parte delle femmine, che esalta la vulnerabilità di queste specie nei confronti delle alterazioni ambientali. In particolare, per lo Scarabeo sacro, che più di altri è confinato lungo i litorali, zone che soprattutto in questa stagione sono invase da un’altra specie, quella nostra.