Faenza è ormai alla sua seconda alluvione nel giro di poche settimane, migliaia di sfollati, una vittima e si cerca di capire se ci sono dispersi. Il fango che prima asserragliava solo un quartiere, ora è ovunque, prendendosi i due terzi della città. C’è chi è al suo secondo esodo: «Sembra una persecuzione» racconta Gianluca. «La prima volta il fiume ci è entrato in casa fino a un metro e mezzo, e siamo scappati in un altro quartiere ospiti di amici, ma anche qui alla seconda alluvione il fiume è arrivato. La mia casa è stata completamente sommersa e non so in che condizioni è e quando ci tornerò. Spaliamo fango da inizio maggio, e scappiamo da una casa all’altra. E’ tutto così surreale. Iniziamo a sentirci profughi climatici».

Gli sfollati arrivano con i sacchi e le valigie sporche di fango nei palazzetti dello sport, nelle parrocchie, nelle palestre delle scuole, le poche che si sono salvate. Le strade sono piene di quel che era nelle case, ormai da buttare. Con le scuole chiuse da giorni, Faenza brulica della «meglio gioventù» infangata dalla testa ai piedi con scope e pale in mano. Se non fosse lo scenario da guerra, sembrerebbe quasi una festa. La preside di un liceo in una commovente lettera ai docenti, li invita a non concentrarsi su verifiche o interrogazioni quando riprenderanno le lezioni, ma a parlare con i ragazzi, rielaborare ciò che è accaduto e lasciar loro il tempo di aiutare.

Non si contano le case inondate, dalle villette alle case popolari, il fango ha livellato tutte le disuguaglianze, per assurdo facendo più danni là dove c’era più ricchezza. Sfilano i carri attrezzi, con auto di ogni tipo, dai Suv alle Porsche, alle vecchie pandine, solo le bici si sono salvate e sfrecciano infangate, trasportando secchi e pale. La città tra le più motorizzate d’Italia ha dimezzato il suo parco auto. «Questa cosa ci fa riflettere e visto che adesso così tanta gente è senza auto, una volta che saremo tornati ad un minimo di normalità sarà necessario migliorare i mezzi pubblici e attivare il carsharing» suggerisce Samuele attivista della Fiab Faenza, mentre spala fango.

Michele viveva con la famiglia in una casa popolare proprio attaccata all’argine del fiume Lamone, al terzo piano e ricorda quegli attimi terribili: «Stavamo guardando la partita, la sera del 16 maggio quando all’improvviso è andata via la luce. Siamo andati in terrazzo, pioveva fortissimo, tempo due minuti e abbiamo sentito un boato spaventoso, era il fiume che usciva dall’argine venendo giù con ondate pazzesche. Era buio, tutti i lampioni si erano spenti, si sentiva solo lo scroscio dell’acqua. Eravamo tutti terrorizzati, i vicini del primo piano sono corsi da quelli del secondo, con le torce guardavamo l’acqua che continuava a salire sulle scale, poi finalmente si è fermata, ma nessuno di noi quella notte ha chiuso occhio». Ora è ospite con la moglie e i bambini in una parrocchia, a giorni forse potrà tornare a casa ma sussurra: «Io ho paura a tornare a vivere vicino al fiume, e se capitasse di nuovo? Quel boato non lo dimenticherò mai».

Poco distante c’è un campo, chiamato l’orto della Ghilana, invaso dall’acqua quando il fiume è esondato. Qui pende un progetto di urbanizzazione. Anna, mamma di due bambini, fissa quel campo allagato e scuote la testa: «Tra pochi anni qui sorgeranno villette e parcheggio, ci immaginiamo i danni se il fiume dovesse nuovamente esondare? Spero che questo progetto possa essere rimesso in discussione, ho partecipato a varie manifestazioni in passato per fermarlo e se serve lo farò ancora».

Melissa, attivista di Extinction Rebellion si è messa in salvo con la sua famiglia, dopo alcuni giorni asserragliati ai piani alti, attraversando acqua e fango. Poi è tornata ad aiutare, come tutti, e mentre spala fango racconta: «Eventi come questi si sono già verificati nei paesi poveri e neppure ci interessano, in Pakistan ci sono stati 1300 morti. Ora che stiamo vivendo anche qui nel nord gli effetti di una catastrofe climatica già annunciata, spero che la coscienza della gente aumenti. Anche qui a Faenza si continua a urbanizzare, disboscare, si vuole perfino costruire una nuova tangenziale e si ampliano gli impianti industriali. Tra una inondazione e l’altra a Faenza una centrale a biomassa ha preso fuoco, l’incendio poteva avere effetti disastrosi. La safety zone è sempre più ristretta. Come nell’alluvione ognuno fa quel che può e si vede una grande solidarietà, dobbiamo tutti attivarci, unirci, per salvare il salvabile. Io ho una bambina e sono angosciata per il suo futuro».