Tra i viottoli del cimitero di Milltown, a West Belfast, lì dove il quartiere di Ballymurphy declina verso la lunghissima Falls Road, si notano qua e là diverse tombe con dei nomi italiani. È il cimitero repubblicano di Belfast, e vi riposano i volontari dell’Ira, assieme a tante altre vittime dei cosiddetti Troubles. Il conflitto ne ha contate più di 3.700, e quelle tumulate a Milltown appartengono perlopiù alla minoranza cattolico-nazionalista. In parte sono state uccise dai nemici storici, i lealisti-unionisti, e in parte dagli stessi uomini dell’Ira.

Negli anni della guerra (sebbene gli inglesi non amino considerarla tale), per i repubblicani nessun reato superava per gravità quello di collaborazionismo con le forze di occupazione britanniche. All’interno della loro comunità, essere un informer, una spia, un tout, come vuole lo slang nordirlandese, equivaleva ad assicurarsi prima o dopo una morte certa.

E la spia più nota degli ultimi decenni ha un nome italiano, Alfredo «Freddie» Scappaticci. Il padre era un gelataio ambulante giunto a Belfast alla fine degli anni ’40. Come tanti immigrati dal nostro paese, aveva esportato un suo know how di tipo culinario. Il figlio, detto Scap negli ambienti dell’Ira, era un muratore assai noto nel quartiere dei markets; noto per la sua totale dedizione, una devozione ai limiti della ferocia, al movimento repubblicano.

Eppure, a partire da un momento imprecisato a partire dalla fine degli anni ’70, divenne dapprima un informatore della polizia, e poi, proprio in concomitanza con la sua scalata dei ranghi interni dell’Ira, un collaboratore dei servizi segreti inglesi dell’MI5, permettendo ai britannici di penetrare negli ambienti più segreti del movimento repubblicano.

FIGURA UMBRATILE e oscura all’interno dell’Ira, e partito dalla manovalanza, pare aver subito una punizione esemplare nel 1978 che suscitò in lui un indomabile desiderio di vendetta. Da lì alla prima caserma britannica, la distanza fu breve. La Force Research Unit lo ribattezzò Stakeknife, gli diede un nome in codice, e istruzioni precise. Tra queste, quella di aderire in maniera ferrea alla linea del movimento, e di ottenerne la fiducia incondizionata. Nel carcere di Long Kesh aveva stretto amicizia con Gerry Adams, e ne divenne una sorta di guardia del corpo negli anni ’80.

Negli anni seguenti, con un salario di circa 80.000 sterline l’anno pagato dal governo britannico, Stakeknife si ritrovò al centro di episodi chiave del recente passato nordirlandese. È ritenuto aver giocato un ruolo preciso nell’individuazione a Gibilterra dei tre volontari dell’Ira Mairead Farrell, Sean Savage e Danny McCann uccisi a bruciapelo dalle Sas nel 1988, e sappiamo delle sue soffiate che portarono all’arresto nel 1990 di Danny Morrison, massimo stratega e architetto dell’immagine ufficiale di Sinn Féin.

Non possedendo, tuttavia, le virtù dello stratega, ma soltanto la reputazione di un esecutore spietato e crudele di ordini altrui, negli anni dell’ascesa assurse a capo della cosiddetta nutting squad dell’Ira, una cellula interna deputata proprio a stanare con metodi brutali gli informatori all’interno del movimento. Scap era estremamente temuto per i suoi interrogatori che potevano durare giorni, tra torture varie alla fine delle quali, tranne in casi rarissimi, all’interrogato non era consentito di tornare dai propri cari, né da chicchessia.

Quegli interrogatori si concludevano quasi sempre, infatti, con la soppressione del malcapitato. Se si trattava effettivamente di un informatore, la sentenza sancita dalle regole interne dell’Ira era di esecuzione capitale. Se invece si trattava di lealisti, con tutta probabilità erano segnalati proprio da Scap o dai suoi superiori britannici per timore che potessero rivelare il suo ruolo di informatore e far saltare tutta una serie di coperture. In entrambi i casi, il loro destino era segnato.

L’AFFAIRE SCAPPATICCI si complicò quando, all’inizio degli anni ’90, ci si rese conto che, pur di salvaguardarne il ruolo di pedina chiave all’interno dell’Ira, i servizi inglesi l’avevano utilizzato anche a scapito della vita di altri informatori o agenti tenuti in minor conto, con l’implicita concessione a Scap di una inusuale licenza di uccidere.

Quando alla fine di un interrogatorio segreto, nel 1993, quella che avrebbe dovuto essere la sua ennesima vittima fu invece salvata dai reparti speciali britannici poiché considerata altrettanto cruciale nella lotta contro l’Ira, le se sorti iniziarono a declinare. Arrestato, venne rilasciato grazie a un falso alibi, e poi, riparato in Inghilterra, gli fu offerta dai servizi la possibilità della protezione. Ma lui, contro ogni pronostico, la rifiutò.

Sapeva che qualora l’Ira avesse portato a termine anche nel suo caso l’ovvia condanna a morte a cui erano e sono destinati gli informatori, questa decisione sarebbe stata vista come un’ammissione di fragilità e inaffidabilità del movimento: l’idea che la compagine paramilitare più letale dell’occidente fosse permeabile a infiltrazioni ad altissimo livello non era tollerabile.

Consapevole, dunque, di avere il coltello dalla parte del manico, Freddie tornò a Belfast e negò pubblicamente di aver mai collaborato con i servizi britannici. L’Ira accettò, probabilmente a malincuore, questa versione, pur senza ovviamente poterlo riammettere all’interno dei propri ranghi, anzi incoraggiandone la fuga definitiva avvenuta nel 2003.

Da quel momento Scappaticci, non potendo più risiedere in Irlanda del Nord, in quanto di fatto, se non ufficialmente, condannato a morte, fu costretto di nascondersi all’estero. Per un certo periodo è circolata persino la voce di un suo rifugio italiano. Tornò a Belfast solo occasionalmente, l’ultima volta, l’anno passato, ad aprile, in concomitanza con i funerali del padre novantottenne.

Il suo arresto ieri avviene dopo un lungo periodo in cui è stato presumibilmente coperto proprio da quei servizi che aveva servito per anni, e che probabilmente devono ora averlo scaricato.

È accusato in totale di una quarantina tra omicidi, sequestri di persona ed episodi di tortura, non solo di repubblicani accusati di essere delle spie, ma anche di personaggi che a vario titolo ne avrebbero potuto compromettere la credibilità, rivelando il suo doppiogiochismo.

 

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È STATO BRACCATO in Inghilterra, e la tempistica non appare casuale. Il giorno prima, infatti, era stata arrestata un’altra notoria spia, questa volte infiltrata nei movimenti lealisti, Gary Haggarty. Figure come Scappaticci e Haggarty sono in grado di rivelare i versanti oscuri dei contatti tra i servizi segreti, le forze di polizia nordirlandesi e i paramilitari, che hanno portato negli anni a scenari letali di collusione e crimini di guerra.

Se sono oramai risultati privi di copertura istituzionale è per via di una task force detta «Operazione Kenova» che ha il compito di indagare su fatti di sangue e casi insoluti, collocati proprio nella zona grigia tra le forze dello stato britannico e gli ambienti paramilitari; non a caso il principale obbiettivo degli investigatori era proprio far luce sulle attività di Scappaticci.

È stata proprio la squadra di Kenova ad annunciare, martedì scorso, ma senza fare il suo nome, d’aver arrestato un uomo sospettato di numerosi crimini. Per poi aggiungere: «Per ragioni di sicurezza non verranno comunicati altri dettagli, né sul luogo dell’arresto, né su quello della detenzione».