La prima Vela venne demolita a dicembre 1997. La città attendeva la deflagrazione dell’esplosivo, negli occhi le immagini viste in tv di edifici che si afflosciano su se stessi. Il boato, la polvere che sale e poi si posa: una voragine in basso, i piani alti intatti, sospesi sulla macerie. Per abbattere la Vela F ci vollero le ruspe, l’estate dell’anno dopo. Poi toccò alla G nel 2000 e all’H nel 2003. Delle sette vele progettare da Franz Di Salvo nel quartiere di Scampia, a Napoli, ne rimasero quattro. Giovedì ricominciano gli abbattimenti: degli edifici simbolo del progettista italiano ne resterà in piedi solo una, la B, che tutti chiamano la Vela Celeste.

Ora ospita 247 appartamenti dove sono stati sistemati gli ultimi nuclei familiari, in attesa della costruzione di alloggi pubblici (come già fatto per gli altri abitanti). «Abbiamo assicurato che non ci fossero sgomberi coatti – ha spiegato l’assessora Monica Buonanno – e abbiamo voluto che per i lavori di abbattimento fosse applicata la clausola sociale dando lavoro al quartiere». La struttura diventerà la sede della Città metropolitana, soprattutto rimarrà come testimonianza: come spiega la docente universitaria Roberta Amirante, «proprio perché è finalmente sola, può dire “I’m a Monument“».

SI PARTE DALLA VELA Verde, questa volta senza dinamite: sul cantiere c’è un enorme escavatore, la cosiddetta pinza, in grado di arrivare a 52 metri di altezza. Con il suo braccio smonterà l’edificio un pezzo alla volta, limitando la dispersione di polveri. È stato necessario prima bonificare l’edificio portando via tutto il materiale asportabile, incluso l’amianto. L’intero progetto fa parte del piano di rigenerazione urbana Re-start Scampia: un radicale ripensamento del lotto M, il quadrante su cui sono sorte le Vele, per un totale di 107 milioni, predisposto dal comune di Napoli con le facoltà di Architettura e Ingegneria della Federico II ma, soprattutto, con il quartiere in quella che è stata una progettazione partecipata. Scrive il comitato Cantiere 167: «Non saranno le ruspe a fare gli abbattimenti ma l’organizzazione di tutti gli abitanti che per decenni hanno lottato, la perseveranza di un intero popolo». Giovedì sera davanti la Vela Gialla si festeggerà con un concerto, sul palco tra gli altri Luciano Caldore, Nto’, Franco Ricciardi, Ivan Granatino.

PERCHÉ È STATO necessario demolirle lo racconta Carmine Piscopo, assessore comunale all’Urbanistica e docente alla facoltà di Architettura della Federico II: «Sarebbe un errore completare un progetto che alla fine anche Di Salvo ha sentito distante. Scampia è stata pensata come un’area di margine del territorio comunale ma, se vista su scala metropolitana, è di fatto una nuova centralità di una città continua fino a Caserta». Il progetto delle Vele ha le sue radici nella legge 167 del 1962: i comuni acquisiscono aree per l’edilizia popolare. A Napoli la commissione Piccinato individua l’asse Nola – Villa Literno, fuori dai comuni che si sarebbero dovuti consorziare creando nuove realtà amministrative. Il sindaco nel 1964 viene sfiduciato, il prefetto Guido Mattucci trasferisce il progetto a Scampia e Ponticelli. A Scampia, in particolare, erano previsti alloggi per 45 mila persone, che poi diventano 60 mila.

«L’AMMINISTRAZIONE di centrosinistra nel 1965 decide di continuare con il piano del prefetto – spiega Piscopo – motivando la decisione con la difficoltà di adottare i consorzi tra comuni. Fa rientrare le costruzioni nei margini comunali, in una zona di campi e arbusti, l’idea sembra essere riempire un vuoto ma è stata una semplificazione incredibile, seguita da molte mancanze. La circoscrizione Scampia, ad esempio, nasce solo nel 1985». Di Salvo progetta i sette edifici che svettano come Vele e richiamano il Vesuvio: «Sono l’emblema del grande edificio per alloggi collettivi – prosegue Piscopo -. L’idea era decongestionare il centro spostando il peso insediativo verso i margini. Il gigantismo dei piani di zona si univa alla capacità dell’architettura di costruire città moderne fatte da grandi corpi liberi che spesso si ripetono in un disegno unitario. È il megastrutturalismo, il brutalismo, una dimostrazione di forza».

GLI ARCHITETTI si sono divisi tra chi voleva conservare le Vele e chi le voleva abbattere, il quartiere le ha sempre viste come il simbolo di un modo impossibile di abitare: «A chi ci accusa di distruggete un patrimonio dell’architettura – spiega Piscopo – rispondo che si tratta di chiudere un grande equivoco su ciò che abbiamo voluto chiamare moderno, dentro cui il moderno non si è mai potuto specchiare senza provare vergogna. Altrove l’attenzione è stata diversa. Qui non si è valutato lo sviluppo della città e neppure quali modelli sociali avrebbero potuto trovare spazio, insediamenti senza relazione con altre parti del territorio».

Il resto lo ha prodotto la storia. Nel 1980 il terremoto provoca l’espulsione di residenti dal centro storico, un esodo che farà salire gli abitante delle Vele a oltre 100 mila. Il declino dell’apparato produttivo, in particolare degli insediamenti industriali a est, impoverisce un tessuto già difficile. Gli ampi spazi di Scampia vengono riempiti dal mercato degli stupefacenti a basso prezzo, un giro di affari così grande da rendere Paolo Di Lauro «’o milionario» e spingere una parte del clan alla Scissione. Il supermarket della droga innesca una prima e poi una seconda faida, 128 i morti tra il 2004 e il 2012.

GLI ABITANTI hanno resistito sopportando edifici mastodontici senza manutenzione con impianti elettrici e contatori non a norma, infiltrazioni dai terrazzi di copertura, impianti di scarico otturati, condotte corrose, riscaldamenti rotti e ascensori mai entrati in funzione in palazzi di oltre dieci piani. Pasquale Lubrano venne allontanato nel 2000 dal suo appartamento per il crollo della scale di accesso al suo alloggio, un incubo di calcinacci franati sul ballatoio sottostante e un ragazzo di 14 anni aggrappato al corrimano per non precipitare.