Una «situazione molto pericolosa» quella che nelle ultime ore si è creata nel sud del Libano. Il comunicato dell’Unifil è stringato e chiama al cessate il fuoco le due parti, Israele e Hezbollah. Le tensioni al confine non sono una novità, ma stavolta si tratta del primo un vero e proprio – anche se breve – confronto militare tra i due dalla guerra del Tammouz (12 luglio-14 agosto 2006).

Giovedì l’aviazione israeliana avrebbe lanciato due attacchi aerei nelle Fattorie Sheba’a, a cui Hezbollah – secondo il loro comunicato – avrebbe risposto venerdì con «dozzine di missili 122 mm» (secondo fonti israeliane 10 su 19 intercettati dal sistema Iron Dome). A sua volta Israele ha contrattaccato con l’aviazione lanciando missili 155 mm nella zona di Habbariyye: una quarantina, toccando il suolo, hanno provocato incendi nella zona, riportano le autorità libanesi. Non ci sono al momento vittime.

LE FATTORIE SHEBA’A sono un territorio controverso. Nella guerra dei sei giorni del 1967 contro la Siria, quando Israele occupò le alture del Golan, le Fattorie furono considerate territorio siriano. Il Libano alle prese con la guerra civile (1975-90) non entrò nel conflitto.

Nel 1981 Israele approvò una legge per cui il territorio sarebbe passato sotto la sua amministrazione, decisione giudicata nulla dall’Onu. Nel 1982 Israele invase il sud del Libano e ci rimase fino al 2000, quando si ritirò come sancito dalla risoluzione 425 del 1978.

Tuttavia Siria e Libano contestarono la decisione proprio a causa delle Fattorie, che diventarono un casus belli: Hezbollah considera da allora incompleto il ritiro israeliano e con ciò legittima la sua azione di resistenza. La missione Unifil nasce come forza di interposizione tra i due Stati in seguito all’invasione israeliana del sud del Libano nel 1978 e da allora costantemente rinnovata.

SHEFLER, PORTAVOCE dell’esercito israeliano, ha dichiarato: «Non vogliamo che l’escalation porti a una guerra, alla quale siamo ovviamente molto preparati. Per questo non permetteremo che questi atti di terrore continuino e faremo quello che dobbiamo fare».

GLI ATTORI POLITICI libanesi, se da un lato con voce unanime condannano Israele, dall’altro si dividono come di consueto sull’operato di Hezbollah. Hariri, svincolatosi dagli obblighi governativi e passato il testimone a Mikati per la formazione del governo, attacca: «Dov’è lo Stato? La presidenza e l’esercito erano al corrente del lancio di razzi?». Fa anche riferimento al conflitto israelo-iraniano in atto in Oman e al ruolo che lo Stato dovrebbe avere e non ha nel difendere la sovranità libanese rispetto a conflitti esterni che non dovrebbero intaccarne l’integrità.

Sulla stessa linea il cristiano Geagea, capo delle Forze libanesi, oppositore del governo e dell’alleanza Aoun-Hezbollah. Amal e il Partito democratico (druso) supportano invece l’iniziativa del Partito di Dio e accusano Israele di violare la sovranità libanese. Il premier dimissionario Diab fa appello all’Onu affinché Israele rispetti la risoluzione 1701 (2006, implementare la fine delle ostilità Hezbollah-Israele) e smetta di violare la sovranità libanese.

Il Libano ha appena celebrato il primo anniversario dell’esplosione che il 4 agosto 2020 ha devastato Beirut causando più di 200 vittime, oltre 6mila feriti e oltre 300mila sfollati. Il processo non ha ancora stabilito le responsabilità, mentre l’Osservatorio per i Diritti umani ha stilato un report pochi giorni fa nel quale accusa le autorità libanesi di «negligenza criminale» per i fatti del porto.

LA CRISI ECONOMICA non dà cenni di ripresa: la svalutazione della lira agganciata al dollaro a un tasso di 1507 lire è arrivata a 20mila lire al mercato nero, l’inflazione è a livelli altissimi, mancano beni di prima necessità e i prezzi di qualunque genere sono proibitivi. Lo Stato non riesce più a sussidiare benzina e medicinali che sono razionati quando non introvabili.

Gli ospedali sono al collasso. I tagli all’elettricità – prodotta quasi interamente a diesel – sono sempre più lunghi: in zone centralissime si arriva anche a 14-15 ore al giorno. Una guerra in questo momento è l’ultima cosa di cui il popolo libanese ha bisogno.