Matteo Renzi, fresco di successo alle primarie, nel gennaio scorso partecipava a Le Invasioni Barbariche su La7, lasciando il segno nell’immaginario nazionalpopolare con il famoso hashtag #Enricostaisereno. Di fronte a quel monumento è comprensibile come una sua affermazione relativa alle biblioteche sia rimasta sostanzialmente ignorata, se si eccettua qualche flebile «flame» sulla lista di discussione dei bibliotecari italiani Aib-Cur. Parlando infatti dell’utilità del servizio civile, anche in biblioteca, Renzi affermava essere motivo per lui d’orgoglio avere come sindaco raddoppiato lo spazio a disposizione delle biblioteche fiorentine. Forse un altro giornalista avrebbe potuto chiedere maggiori dettagli o meravigliarsi che, proprio in quei giorni, davanti a Palazzo Vecchio dimostrassero i precari della pubblica amministrazione fiorentina, e quindi pure quelli in forza alle biblioteche cittadine. Anche dando per buono il dato fornito con orgoglio dall’ex-sindaco, oggi premier, chi potrebbe smorzare l’entusiasmo di Renzi esiste e si chiama R. David Lankes.
Professore di biblioteconomia alla Scuola di studi sull’informazione dell’Università di Syracuse e direttore dell’Information Institute di Syracuse nello stato di New York, Lankes ha partecipato a progetti di «reference virtuale», ha ricevuto incarichi da parte di organizzazioni importanti come la MacArthur Foundation o l’American Library Association, ma fondamentalmente il suo contributo maggiore è il concetto di «nuova biblioteconomia», espresso estesamente nel volume The Atlas of New Librarianship (The Mit Press, 2011), recentemente pubblicato in italiano a cura di Anna Maria Tammaro per Editrice Bibliografica: L’atlante della biblioteconomia moderna. Tutto l’Atlante è dedicato a dimostrare come l’istituzione-biblioteca non dipenda dalla quantità, qualità, varietà dei documenti contenuti (si tratti di libri, riviste, cd, dvd, banche dati, ebook, videogiochi), né tanto meno dall’ampiezza o dall’«abitabilità» dei suoi spazi, ma piuttosto dalla professionalità di bibliotecarie e bibliotecari che si sforzano di essere facilitatori della creazione di conoscenza, all’interno delle loro comunità.
Lankes va in controtendenza non solo rispetto agli amministratori come Renzi, che pensano alle biblioteche bastino spazi o personale non professionalmente qualificato (e quindi inquadrato in fasce salariali ridicole rispetto alla delicatezza dei compiti assegnati), ma anche rispetto gli stessi bibliotecari. Questi ultimi, legati a una concezione «documento-centrica», ritengono che la loro figura professionale debba essere il più possibile neutra e, semplicemente, mediare l’accesso dell’utente all’informazione già esistente.
Contro questa impostazione, Lankes sostiene che la conoscenza si offra esclusivamente sotto forma di conversazione tra soggetti diversi: il compito dei bibliotecari è di favorire il prosperare di tali scambi, utilizzando se necessari, ma senza che essi siano indispensabili, i documenti presenti, non solo nell’edificio biblioteca, ma anche in tutti i contesti pubblici. Per meglio chiarire tale punto di vista, Lankes propone una dicotomia provocatoria ma illuminante: uno spazio riempito di libri, riviste, dvd, ebook rimane uno spazio con oggetti (Lankes utilizza il termine «artifacts», i traduttori italiani preferiscono «manufatti»), mentre uno spazio con una bibliotecaria o un bibliotecario al suo interno diventa per ciò stesso una biblioteca.
È quindi la presenza della figura professionale a caratterizzare l’istituzione e non la documentazione. Per Lankes la bibliotecaria e il bibliotecario devono prima di tutto avere chiara la missione del miglioramento della società e, particolarmente, della propria comunità. Pur avvalendosi strumentalmente delle risorse messe a disposizione dall’istituzione, sono esattamente il contrario di quanto vorrebbe stabilire il Codice deontologico dei bibliotecari (presente sul sito dell’Associazione http://www.aib.it/): «Le informazioni fornite dai bibliotecari devono essere il più possibile complete e imparziali, non condizionate da opinioni e valori personali né da pressioni esterne».
Per Lankes, invece, i valori personali (certo orientati nel senso della mission professionale) sono imprescindibili. Non a caso, propone un nuovo termine per gli utenti della biblioteca: non «utenti» come fruitori – anonimi ed indifferenziati – di un servizio che deve essere «neutro» nei loro confronti; non «clienti» come indicano le strategie aziendalistiche della gestione della qualità per inserirli in statistiche sulla soddisfazione; piuttosto «membri» in quanto, appunto, individui di una comunità che collaborano assieme per creare conoscenza.