La morte improvvisa del giudice della corte suprema Antonin Scalia è un ordigno esplosivo su un’America in piena campagna elettorale. Pochi minuti dopo la clamorosa notizia, a poche ore dal dibattito repubblicano in South Carolina, Twitter era già un violento campo di battaglia.

Scalia era una delle figure più controverse e distruttive del panorama politico/giuridico americano. Nominato alla corte suprema da Ronald Reagan nel 1986, per 30 anni l’uomo definito “áncora intellettuale della maggioranza conservatrice della corte” ha rappresentato piuttosto una pesante zavorra reazionaria sulla corte costituzionale, una diga inamovibile al progresso sociale.

Fautore di una reazione arcigna e oscurantista, Scalia ha proiettato l’ombra lunga del reaganismo su tre decenni di vita politica e civile, non perdendo mai occasione per articolare posizioni di un conservatorismo assoluto e intransigente con sofismi intellettuali venati di fine sarcasmo.

Erto a perenne indignazione morale dall’alto di una indubbia agilità intellettuale sempre a servizio della parte sbagliata, non esitò mai a fare per sé le più utili eccezioni deontologiche. Rifiutò caparbiamente di astenersi in un caso di corruzione del suo amico e degno compagno ideologico Dick Cheney, con cui amava condividere battute di caccia. Proclamava fieramente di non guardare mai il New York Times o iI Washington Post perché “sono estremisti di sinistra”.

Figlio di immigrati siciliani del Queens ha nuociuto come pochi alla reputazione italoamericana in questo paese, lasciando ai posteri un voluminoso retaggio di sentenze perniciose e memorabili dichiarazioni. Esempio: “Proteggiamo gli omosessuali, tanto vale fare lo stesso per i pedofili” (i gay erano un bersaglio favorito del giudice, che aveva articolato a più riprese il diritto degli stati a criminalizzare la sodomia). Pur con l’evoluzione sociale dei tempi, Scalia mostrò sempre una soddisfazione particolare a mostrare un’opposizione caparbiamente impenitente.

Entusiasta sostenitore della pena di morte, Scalia lascia come ultimo atto ufficiale la firma sull’ennesima petizione di clemenza respinta. D’altronde era l’autore dell’impagabile valutazione: “La mera innocenza di fatto non costituisce impedimento all’esecuzione di una condanna regolarmente emessa” (sic!).

Arciconservatore cattolico sin dai tempi del liceo gesuita a Manhattan, fu appassionato di rito tridentino e messe latine e impiegò instancabilmente la propria toga per l’imposizione della propria morale sul resto del paese, promuovendo sempre l’interpretazione della costituzione alla pari di un sacro testo religioso. Anti abortista convinto, lavorò per tre decenni per abrogare il diritto a terminare la gravidanza e a riguardo ebbe a dire: “Per permettere al capitalismo di produrre una società stabile e giusta, i valori cristiani tradizionali sono essenziali”.

Scalia argomentò la legalità della tortura e della detenzione indefinita a Guanatanamo, contro la affirmative action e la protezione legale delle minoranze, ebbe a dire, dopo aver contribuito ad aggiudicare anzitempo l’elezione contesa del 2000 a favore di George Bush, “non devo scuse a nessuno per quell’azione, è ora che ve ne facciate una ragione!”.

Non sorprende che sia stato ricordato alla pari di un santo patrono ieri dai candidati repubblicani, e spiega la solenne promessa già recapitata dai leader Gop di sabotare le nomine di Obama per sostituirlo, durante le elezioni che molti hanno ormai già ri-definito come un referendum ideologico sulla corte suprema.