Il problema, grave, è di natura strutturale: non si può pretendere che il presidente del Consiglio rispetti e conosca la carta costituzionale. E quand’anche fosse costretto a farlo, è evidente che sarebbe disposto a calpestarla, soprattutto in quelle sue parti che si riferiscono ai diritti dei lavoratori.

Altrimenti, facendo il bullo al convegno per l’Expo, Matteo Renzi non avrebbe parlato di “sciopero” e di “boicottaggio” per minacciare i lavoratori del Teatro alla Scala che il primo maggio non intendono lavorare per portare in scena la Turandot. Anche se è la giornata inaugurale dell’Expo. Quel giorno nessuno sciopererà e nessuno boicotterà. Il primo maggio, dal 1886, è semplicemente la festa dei lavoratori. Ha un significato universale e in Italia solo durante il fascismo è stata abolita. La data non è mai piaciuta alle dittature.

Per ricordarglielo è intervenuto anche il sovrintendente alla Scala Alexander Pereira: “Ringrazio il primo ministro per l’attenzione, devo però dire che non si tratta di uno sciopero, come è stato detto, bensì della legittima decisione di ciascun lavoratore di astenersi dal lavoro il primo maggio come previsto dalla Corte costituzionale”.

Sicuramente meglio informati, anche il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, hanno comunque espresso rammarico per la decisione di alcuni lavoratori di restarsene a casa. Non tutte le battaglie di principio sono vincenti e popolari, eppure stupisce l’arrendevolezza dei vertici della Cgil su una questione così fortemente simbolica, dopo che il sindacato per mesi è stato preso a pesci in faccia da Matteo Renzi. L’altro giorno ha invocato addirittura “provvedimenti speciali” per impedire ai lavoratori di celebrare la loro festa. Quali non l’ha detto, si è trattato della solita fanfaronata.

Forse avrebbe potuto chiedere un impegno con cortesia, per il bene della patria, ma non è all’insegna della cortesia che il personaggio è solito trattare con i lavoratori e con chi li rappresenta. Come ha fatto ieri il gentile Stefano Fassina intervistato da Radio 24, “gli orchestrali della Scala dovrebbero lavorare perché è un primo maggio eccezionale e vi sono tanti modi per celebrarlo, anche suonando per un evento importante come l’Expo” (tanto per dire di che pasta è fatta la “sinistra” del Pd).

Orchestra e coro, infatti, sono disposti a lavorare e sarà sufficiente per organizzare un concerto, ma non la Turandot: per un’opera bisognerebbe coinvolgere tutti gli operai di palco, tecnici e costumisti. Nonostante il parere di Camusso, i delegati della Cgil della Scala sono tutt’altro che disponibili a “vendere” il primo maggio. “Le parole di Renzi sono gravi, gettano benzina sul fuoco invece che cercare finalmente un confronto, se l’assenza dei lavoratori è un problema insormontabile, il buon senso invita ad ipotizzare altre date alternative per il debutto della Turandot”, ha dichiarato Giancarlo Albori, di Area democrazia e lavoro di Slc-Cgil. Per Elena Lattuada, segretario della Cgil Lombardia, “è sbagliato pensare ad interventi autoritari e di imperio”.

Più netta la posizione di alcuni lavoratori della Scala che hanno scritto sul sito MilanoX: “A chi ci chiede di lavorare in nome dell’Expo, evento eccezionale, poiché così agendo danneggeremmo l’immagine del paese, noi rispondiamo che la colpa è di chi ha voluto fissare l’inizio dell’Esposizione Universale in un giorno festivo per legge in plateale spregio della storia del movimento operaio, con l’avallo dei sindacati complici del lavoro gratis e interinale”. Dicono che per loro la Turandot può andare pacificamente in scena il 2 maggio.