Gli inquirenti non si sbilanciano sui probabili collegamenti col fallito attentato al presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, scampato all’agguato solo per la pronta reazione dei poliziotti che hanno risposto al fuoco mettendo in fuga il commando appostato lungo la provinciale che si inerpica sui monti. Ma il segnale che arriva dallo Stato ad appena 13 giorni da quel tentativo di strage è chiaro. Si stringe il cerchio sui mafiosi nel triangolo di un territorio vasto che comprende Messina, Catania ed Enna, dove le attività criminali sono molteplici.

Ventitrè persone arrestate proprio nell’area dei Nebrodi in un’operazione antimafia, la cui denominazione, «Senza tregua», la dice lunga sulla stretta delle forze dell’ordine che da giorni stanno mettendo a soqquadro capannoni, ruderi, aree industriali.

L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Messina, conferma quanto anticipato da Guido Lo Forte, proprio in un’intervista al manifesto, sulla mafia dei «tortoriciani» e dei «batanesi», cosche che hanno alzato il tiro dopo gli arresti che hanno decapitato i clan sanguinari di Barcellona Pozzo di Gotto, stringendo alleanza con la ‘ndrangheta calabrese.

I reati contestati vanno dal traffico di droga, alle estorsioni sulle forniture alle imprese edili, dal controllo degli appalti alle rapine. I provvedimenti, emessi dal gip Salvatore Mastroeni, sono stati richiesti dai sostituti procuratori della Dda, Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, e Fabrizio Monaco, titolari pure delle indagini sull’agguato ad Antoci. Sedici le 16 persone finite in carcere e sette ai domiciliari accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

«Si aspettavano forse uno Stato che si sarebbe limitato a festeggiare il fallito agguato al presidente Antoci? Si sono sbagliati», commenta il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Che parla di «lavoro instancabile della squadra Stato, impegnata a ogni livello, a fianco della gente onesta per garantire la sicurezza dei cittadini attraverso una forte azione di controllo del territorio e lo smantellamento delle reti criminali che vi operano».

Tra i nomi finiti nell’indagine emerge quello di Antonio Foraci, 52 anni, detto «il calabrese», arrestato in questa operazione e già condannato per mafia: boss emergente dei cosiddetti «tortoriciani», il clan della famiglia Bontempo Scavo di Tortorici (Me). Foraci aveva collegamenti anche in Calabria dopo aver intrattenuto rapporti con gli esponenti della ’ndrangheta con legami con la famiglia dei Nirta-Strangio, ’ndrina originaria di San Luca, piccolo paese preaspromontano, nota alle cronace per la sanguinosa faida scoppiata nel 1991, con la cosca contrapposta dei Pelle-Vottari, con decine di morti su entrambi i fronti.

L’operazione «Senza tregua» è la prosecuzione dell’indagine «Rinascita» del 2008: prese avvio dall’arresto in flagranza di quattro giovani di Tortorici durante un tentativo di estorsione a un nightclub di Capo D’Orlando.

Per Guido Lo Forte «è una mafia non più divisa all’interno tra tortoriciani e batanesi e che non ha più il condizionamento della mafia barcellonese, ma ha rapporti diretti con la ’ndrangheta e la mafia catanese». Il procuratore sostiene che «non ci sono collegamenti diretti tra questa operazione e l’attentato al presidente del Parco dei Nebrodi», mentre sul possibile collegamento tra gli arrestati e i terreni sequestrati e oggetto di interdittive, il procuratore preferisce non rispondere, «perché ci sono indagini in corso».

«Si tratta di un’operazione fondamentale dove emerge il ruolo apicale di Foraci», spiega Giuseppe Cucchiara, questore di Messina. Che aggiunge: «Siamo soddisfatti di aver inferto un colpo significativo alla famiglia dei tortoriciani», anche perché «emergono collegamenti con la ’ndrangheta per l’approvvigionamento degli stupefacenti e le estorsioni a imprese messinesi in Calabria».

Parla di «operazione di successo» Rosario Crocetta, governatore della Sicilia, che per primo, dopo il fallito attentato ad Antoci, ha puntato il dito proprio contro i clan dei tortoriciani, facendo nomi e cognomi dei componenti del clan durante le manifestazioni di piazza organizzate come reazione all’agguato.

«I siciliani e i cittadini dei Nebrodi sono stanchi delle vessazioni che sono stati costretti a subire da una mafia, quella tortoriciana, barbarica e crudele, che ha creato forti collegamenti con Cosa nostra siciliana e con la ’ndrangheta», dice Crocetta complimentandosi con la procura di Messina. «Sono convinto – prosegue il presidente della Regione Sicilia – che nelle prossime settimane altre operazioni importanti potranno avvenire, soprattutto nella direzione della identificazione dei killer e dei mandanti dell’attentato ad Antoci e alla sua scorta». «Lo Stato fa sul serio – insiste – e nessuno pensi di avere sconti. L’azione per il ripristino della legalità e della giustizia è a tutto campo anche attraverso i controlli amministrativi che stiamo ulteriormente potenziando in tutta la Sicilia».

Di «risposta migliore che lo Stato poteva dare dopo l’agguato ad Antoci» parla Beppe Lumia, senatore del Pd, componente della Commissione parlamentare antimafia, che ha presentato due interrogazioni parlamentari mettendo nero su bianco i nomi dei clan dei Nebrodi, «una mafia ricca, potente e pericolosissima, un’organizzazione criminale capace di controllare il territorio, di fare grandi affari».

«I Nebrodi – conclude Lumia – sono una realtà bellissima in cui possono prosperare legalità e sviluppo. È questa la missione che bisogna portare avanti, dando seguito agli impegni presi durante il Comitato per l’ordine e la sicurezza tenutosi a Sant’Agata di Militello e alle iniziative antimafia prese dalla Regione Siciliana. Un metodo di lavoro da applicare a tutti i territori della Sicilia, della Calabria e delle regioni meridionali».