È un atto di pura devozione a Donald Trump, ormai tzadik, un giusto, un santo, per aver donato Gerusalemme a Israele. Porterà il nome del presidente americano la fermata al Muro del Pianto della metropolitana che Israele intende costruire nei prossimi anni sotto la città vecchia di Gerusalemme. Un’altra fermata, o almeno una frenata, c’è anche per la love story tra Arabia saudita e Israele. Netanyahu vorrebbe rivelare portare alla luce del sole l’alleanza tra i due Paesi contro l’Iran e gli interessi comuni nella regione. Riyadh invece vuole rimanere una amante disponibile dietro le quinte e austera in pubblico. Un atteggiamento al quale ha contribuito la decisione unilaterale di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele. Con in gioco il destino della Spianata della moschea di Al Aqsa nella città santa, re Salman e il rampollo reale Mohammed non hanno potuto far altro che raffreddare gli spiriti bollenti di Netanyahu e aderire, almeno a parole, alla posizione del blocco dei Paesi arabi e islamici.

Così il torneo internazionale di scacchi in corso in Arabia saudita – 236 giocatori, 10 dei quali i migliori al mondo, provenienti da 55 Paesi – che doveva segnare la prima presentanzione “ufficiale” del rapporto tra Riyadh e Tel Aviv, ha deluso totalmente le aspettative israeliane. I visti d’ingresso richiesti da sette giocatori israeliani sono stati ignorati dai sauditi. Una decisione che evidenzia i limiti dell’alleanza tra la monarchia del Golfo e lo Stato ebraico. In un messaggio su Twitter, Fatimah Baeshen, portavoce dell’ambasciata saudita negli Stati Uniti, ha spiegato che «Il regno storicamente non ha rapporti con un Paese specifico (Israele, ndr) quindi ha mantenuto la sua politica». Riyadh aveva riservato lo stesso trattamento anche ai “nemici” Qatar e Iran. Poi ha cambiato idea ma i qatarioti sino a ieri erano ancora a casa perché i sauditi chiedono che, per “ragioni di sicurezza”, prendano parte al torneo sotto la bandiera non del loro Paese ma di quella della federazione.

Se sul piano politico e diplomatico il torneo internazionale di scacchi ha messo a nudo la complessità, oltre alla gravità, delle crisi e delle guerre che dilaniano la regione, su quello della politica interna all’Arabia saudita l’erede al trono Mohammed non mancherà di affermare di aver mosso passi in avanti sulla strada delle riforme, sociali oltre che economiche, che intende realizzare. Il fatto che la competizione sia in corso non è insignificante. Solo due anni fa la massima autorità religiosa saudita, il Gran Mufti Abdulazia al Sheikh, aveva detto che gli scacchi sono un gioco “vietato” dall’Islam perché fa perdere tempo e può essere usato per fare scommesse. Da notare anche la “concessione” fatta alle donne non musulmane di prendere parte al torneo senza l’obbligo del velo islamico. In fondo non è niente di entusiasmante. Eppure questi piccoli segnali daranno a una certa stampa occidentale l’opportunità per ribadire che l’erede al trono dei Said è un sincero “innovatore” e “progressista”.

Mohammed bin Salman, di fatto già alla guida del Paese, invece resta un giovane arrogante che aggrava la tensione nella regione peraltro senza risultati. Lo si vede in Yemen dove i bombardamenti sauditi – negli ultimi giorni ci sono state altre decine di vittime civili – rendono un inferno la vita della popolazione ma non servono a vincere la guerra contro i ribelli Houthi sostenuti dall’Iran. Fallimentare è la guerra diplomatica ed economica che Riyadh fa al Qatar e un insuccesso si è rivelato il tentativo di estromettere l’Hezbollah sciita dall’esecutivo libanese costringendo il premier Saad Hariri alle dimissioni (poi ritirate). E una nuova battuta d’arresto si sta materializzando di fronte a Gedda. Re Salman ieri ha ricevuto il premier turco Yildirim per discutere dei difficili rapporti tra i due Paesi e del piano di Recep Tayyip Erdogan di utilizzare, in accordo con il Sudan, l’isola di Suakin, nel Mar Rosso, come fecero gli Ottomani nel XIV secolo. Ankara vuole che l’isola diventi un transito per i turchi diretti alla Mecca. I sauditi temono che si trasformi in una base militare.