Ha scosso il mondo cattolico l’inchiesta sui preti pedofili iniziata negli Usa alcuni anni fa che è ora un film Spotlight (sei nomination agli Oscar) di Tom McCarthy, visto a Venezia e da giovedì scorso in sala anche in Italia. Perfetto film di genere, ambientato nel mondo del giornalismo americano, diretto alla perfezione dal regista Tom McCarthy.

Siamo al Boston Globe, deve arrivare un nuovo direttore e già dalle prime battute entriamo nel linguaggio scabro fatto di partite di poker, risposte fulminanti e poche chiacchiere. I capi redattori coordinano (Michael Keaton), i cronisti scalpitano, poi c’è anche una donna (Rachel McAdams) per par condicio e l’outsider (Mark Ruffalo), che non molla mai la presa. Ora ha per le mani il caso di un prete che ha molestato bambini, ma può un giornale i cui lettori sono più della metà cattolici fare causa alla chiesa? Anche il nuovo direttore è un personaggio che fa scalpore, dritto allo scopo nel rendere indispensabile il quotidiano, in un’epoca (siamo nel 2001) in cui internet azzera le vendite. Di poche parole, ha una strategia in mente e indirizza le ricerche verso una strada di non ritorno, come succederà, facendo infine scoppiare un caso di cui ancora si parla.

L’indagine durerà parecchi mesi a partire dai tredici casi di preti conosciuti ai novanta che emergono via via, alle interviste senza mezzi termini a base di: «la gente vuole sapere i particolari», dove è successo? quando è successo? Il gruppo dei cronisti è lanciato sulle piste dell’avvocato (Stanley Tucci) che difende le vittime di violenze, dell’avvocato che patteggia direttamente con la chiesa ottenendo altissimi risarcimenti. E per convincere i pezzi grossi più reticenti basterà chiedere: «Ma tu non vuoi stare dalla parte giusta?». Fino ad arrivare al cardinale Law dell’Arcidiocesi (Giovanni Paolo lo trasferì a Roma, a Santa Maria Maggiore) che «sa qualcosa» e che regala al direttore del Globe un voluminoso catechismo dicendogli: «la prenda come una guida di Boston». La Chiesa infatti, viene sottolineato, è la grande benefattrice di Boston, intorno a lei girano gli affari.

Non si dimentica neanche l’importanza che ha l’archivio in un giornale: lì infatti come punto di partenza si ritrovano i ritagli degli articoli su diversi casi che presi separatamente non significavano molto, ma che quando la rete inizia a comporsi saranno la base su cui costruire. Il grosso ostacolo contro cui combatte il team di cronisti, il gruppo Spotlight da cui prende il titolo il film, è appunto il silenzio, l’autoassoluzione dei preti, l’omertà della società, il senso di vergogna delle vittime che costituisce la leva dei preti pedofili per ottenere il silenzio.

Sono vittime scelte non a caso tra bambini poveri, quasi sempre senza padre che vedono nella benevolenza del loro prete quasi un incontro con Dio, ma che spesso poi ricorrevano al suicidio o alla droga. Quelli ancora vivi cominciano a raccontare. La quantità di casi che emerge sgomenta: si deve trattare di un grande numero di preti, altrimenti non avrebbero potuto farla franca così a lungo. Finiscono con lo scoprire che si tratta di una percentuale vicina al 6% del clero e l’elenco dei nomi completerà la ricerca, messi in riposo o in case di cura per malattie mentali una volte scoperti, ma senza per questo abbandonare il sacerdozio.

Una cultura della clandestinità che confligge pesantemente in ogni caso con l’etica protestante dominante nel paese. Portare alla luce, far parlare, fuori i nomi e le cifre. Nel frattempo ricordiamo che il cardinal Ratzinger dall’Italia interveniva contro i media americani che gettavano discredito e si dovrà aspettare papa Francesco per la condanna definitiva portando in giudizio per abuso di ufficio i vescovi che non abbiano dato seguito alle denunce degli abusi sui minori. Nel film l’attenzione maggiore è data dalla ricerca della verità, dal meccanismo e dalla strategia giornalistica più che dalle ripercussioni sul mondo cattolico. Il caso in tutta la sua analisi particolareggiata (si parla di 7000 preti coinvolti negli Usa) viene pubblicato nel 2002 e diventa materia esplosiva prima nel paese e poi nel mondo intero. Nel 2003 l’inchiesta valse il Pulitzer come miglior servizio pubblico.