Una forte minaccia tanto da mettere la sicurezza a rischio; paura di essere riportati in Libia: sono le due versioni opposte che la procura di Trapani dovrà vagliare, una dell’equipaggio della Vos Thalassa e l’altra dei 67 naufraghi salvati dal mercantile domenica scorsa e poi trasbordati sulla Diciotti della Guardia costiera, sbarcati giovedì notte dopo uno stallo di 24 ore per l’opposizione del Viminale, superata solo grazie all’intervento del presidente Mattarella.

Intorno alle 23 sono saliti sul bus che li ha portati all’hotspot di Trapani, hanno lasciato il porto accompagnati da un lungo applauso degli attivisti che li avevano accolti sul molo. I due sospettati di violenza privata continuata in danno del comandante e dell’equipaggio del rimorchiatore hanno viaggiato a bordo di una volante: il sudanese Ibrahim Bushara e il ghanese Hamid Ibrahim non sono però in stato di fermo, come aveva chiesto Salvini (invadendo il campo dei pm), le accuse infatti sono state ridimensionate dalla procura rispetto all’ipotesi iniziale di tentato dirottamento.

Dopo le prime indagini a bordo, ieri sono cominciati gli interrogatori in questura. A verbalizzare le testimonianze dei naufraghi il personale della squadra mobile, dello Sco di Roma e i militari del Nsi della Guardia costiera. La procura fa quadrato contro le ingerenze della politica: fino a nuove prove, non ci sono altri reati contestati ai due e, di conseguenza, non è previsto alcun provvedimento restrittivo. «Nulla è mutato rispetto a giovedì e certamente non ci muoviamo sulla spinta delle dichiarazioni politiche, ma sulla base dell’attività di polizia giudiziaria. Seguiamo le regole» è la posizione della procura retta da Alfredo Morvillo. Altri riscontri si stanno cercando per individuare eventuali scafisti. Salvini per due giorni ha puntato il dito contro Bushara e Ibrahim, verifiche sono in corso utilizzando anche le foto fatte dai soccorritori.

I naufraghi erano stati trasbordati martedì sulla Diciotti dopo l’allarme lanciato dal mercantile: l’equipaggio si era sentito minacciato dopo che i migranti avevano capito che la nave stava facendo rotta verso sud per consegnarli alla Marina di Tripoli. Un gruppo numeroso avrebbero circondato i marinai, spintonato il primo ufficiale gridando «no Libia, no Libia, sì Italia» e mimando con le mani il gesto del ‘ti taglio la gola’, ha detto il comandante. I migranti hanno raccontato una storia differente: «Non abbiamo aggredito nessuno, ci sono stati dieci minuti di confusione e paura, ma non volevamo fare male a nessuno. Abbiamo supplicato l’equipaggio, eravamo terrorizzati, pronti a tuffarci in mare e a rischiare la vita piuttosto che tornare in Libia», è una delle testimonianze raccolte sulla Diciotti da Sahar Ibrahim, mediatrice di InterSos.

«Non c’è stata alcuna violenza a bordo del mercantile. Erano davvero spaventati, ma nessuna forte agitazione. Probabilmente c’è stato un problema di lingua perché nessuno di loro parla inglese. Quando sono stati rassicurati tutto è finito. Il viaggio è stato tranquillo» ha spiegato Ibrahim. La procura ha creduto alle testimonianze raccolte facendo cadere le accuse di appropriazione della nave e minacce. Durante gli interrogatori sono emerse le storie dei 67, che spiegano la paura di tornare verso Tripoli: a uno dei naufraghi i trafficanti libici hanno tagliato un dito e poi l’hanno mostrato ai genitori, in modo che si convincessero a pagare per il figlio. Stupri contro le donne e omicidi: un ragazzo ha visto morire la moglie, assassinata a colpi di pistola nel campo profughi.
Salvini però non ne vuole sapere di chiudere la vicenda. Mercoledì aveva chiesto «le manette per i dirottatori», giovedì aveva invocato un colpevole purché sia («o hanno mentito gli armatori, allora devono pagare, o l’aggressione c’è stata e allora i responsabili devono andare in galera»). Ieri ha insistito: «Se ci sono state violenze, chi ha sbagliato deve pagare. Mi auguro che la procura faccia bene e in fretta, non permetterò che finisca tutto a tarallucci e vino. L’unica cosa che mi farebbe arrabbiare è che tutti gli sbarcati finissero a piede libero: qualcuno deve pagare».