Come visione attraverso il vetro cangiante di un acquario, Sbagliate è un film che rifrange interrogativi, che propaga meditazioni e memorie. Nel mentre l’oggetto dell’indagine si muove, rimbalza, si dilata, mostrando l’intima interconnessione tra la fiumana della riflessione recente e antichi bandoli in apparenza dimenticati. Che pure sono, e restano, decisivi. La non maternità. Quanto ancora è necessario dire anche del diritto a non avere figli? E in che misura, dal punto di vista della singola soggettività di donna, si può parlare di scelta coscientemente libera e scevra da retaggi, da condizionamenti familiari, generazionali, storici e politico-sociali …? Un discorso che vale tanto per la maternità quanto per la non maternità. E poi. È possibile filare una trama comune tra donne che non hanno avuto figli, preservando il rispetto della individualità irriducibile di ognuna? E in che modo una donna che non ne ha avuti, attualmente percepisce se stessa nello specchio del sociale e in particolare nel riflesso delle relazioni con donne che li hanno avuti? Esiste ancora un «gelo», come una patina di non detto, di imbarazzo, di latente incomprensione, come un sottotesto di separazione che è oltremodo comprensibile ci sia, considerata la complessità e la delicatezza delle questioni in gioco, il reticolo infinito delle variabili psicologiche profonde connesse? («Piuttosto che consentire alle donne di agire come un soggetto autonomo e sovrano, la libera maternità svela reti di dipendenze originarie che sono costitutive della condizione umana» ha affermato di recente Adriana Cavarero in una intervista di Serena Sapegno su Che Libertà). Oppure è possibile andare oltre quella barriera impalpabile di cui raccontano alcune delle donne che con la loro storia e la presenza abitano appunto Sbagliate, il documentario di Daria Menozzi e Elisabetta Pandimiglio, in questi mesi in viaggio per l’Italia? (lo scorso novembre a Firenze a «Cinema e Donne», sarà l’8 marzo alla Casa del Cinema a Roma per poi approdare a Milano a «Sguardi Altrove» – 17/25 marzo – ossia al festival a regia femminile diretto da Patrizia Rappazzo).
Ecco, se queste sono solo alcune delle domande di cui il documentario custodisce i boccioli, si può facilmente intuire come, direttamente o trasversalmente, il territorio di riflessione battuto dal film sia vastissimo, e come sia difficile non sentirsi coinvolte da uno o più punti di questa ricchissima tela. Non a caso, all’argomento, «Sguardi altrove» dedicherà un focus tra maternità e scelta di non essere madri, la cui traccia si srotolerà anche grazie all’apporto di Stato interessante, documentario di Alessandra Bruno (anche alla Casa del Cinema l’8 marzo), in cui, diversamente da quanto narrato in Sbagliate, le vite delle protagoniste saranno ancora in fieri in una direzione o nell’altra, e attraverso un rinnovato dialogo con il libro-raccolta di interviste di Paola Leonardi e Ferdinanda Vigliani, Perché non abbiamo avuto figli. (Franco Angeli, 2009).
Perché, appunto … Il documentario di Menozzi Pandimiglio ci mette a parte infatti, già dall’incipit, della difficoltà a trovare donne non madri che si addentrino nel racconto delle motivazioni sottese ai loro percorsi esistenziali, cosa che testimonia non soltanto l’assoluta delicatezza di parti dell’anima privatissime e spesso acuminate – uno degli elementi determinanti nella scelta più o meno consapevole del non avere figli, che ritorna nelle testimonianze, è inevitabilmente lo sterminato capitolo del rapporto con la propria madre – ma anche come, a 67 anni dalla pubblicazione de Il secondo sesso di de Beauvoir e dal suo smascheramento del falso destino procreativo obbligato delle donne, socialmente ci si muova ancora in zone d’ombra di non accettazione, come a sfidare vetusti perturbanti tabù.
«Sbagliate» sono infatti provocatoriamente le donne, alla fine una trentina, con quattro di loro più «a fuoco», Cristina Ivana Carla Valeria, che hanno aderito al progetto. «Fatte alla rovescia», come dirà una di loro, «sbagliate» come aggettivo con cui ancora ci si permette di giudicare altre donne, ma forse anche come seconda persona plurale del verbo, nel senso di «sbagliate a considerarci sbagliate». Si sono incontrate per tre anni, a piccoli gruppi: ora a casa di alcune di loro, o presso il salone di bellezza di un’altra, sempre riprese con camera fissa, come tableaux non ingessati ma composti, classici e, salvo i rintocchi di frame di treni nella notte, sempre in interni. Hanno ascoltato, parlato, riso, ricordato dei primi anticoncezionali e di quanto fosse difficile procuraseli, un flûte di vino bianco tra le mani e la capacità di rispettare spazi e ritmi dell’altra senza sovrapporsi, come in una nuova memoria femminista. Ognuna con la sua storia a sé, eppure risonanti in un magma sonoro condiviso. «Ai miei, i figli arrivavano e basta, senza un progetto, io non li ho voluti perché volevo crescere». «Al centro c’è stato un lavoro amatissimo», una «fame di autonomia». «Per me la perdita di identità fortissima è non avere più il lavoro, non il non essere stata madre o moglie». Altre volte invece si mette a fuoco un misto imponderabile di scelto e di non scelto «per quanto scegliamo anche non scegliendo»), quid inafferrabile della vita: un aborto nell’adolescenza, oppure uno forzato da una malattia, o ancora il non voler cercare a tutti i costi una gravidanza che non arrivava, o la mancanza di un compagno con cui sentire veramente di farlo, e allora è stato così … E ancora si discute della difficoltà a contattare il desiderio reale di maternità o meno al di la delle stratificazioni delle imposizioni sociali e dei meandri della propria storia familiare, di cosa sia «istinto materno» e di come si estrinsechi al di là della maternità … Sbagliate è un film sul soffermarsi con se stesse, sul sapere stare innanzi tutto ad ascoltarsi, e poi a relazionarsi con le altre. Qualcosa che queste donne fanno con generosità rara, con un coraggio talora malinconico, talora combattivo e autoironico, che è la cosa più bella del film. Certo, non si può dire che il documentario non esprima un senso di separazione rispetto alle donne che hanno figli (solo all’inizio dal parrucchiere c’è uno scambio di battute con una madre). E questo mi ha fatto molto riflettere, come se attestasse la necessità di uno spazio in cui dirsi senza temere giudizi incomprensioni e fraintendimenti. Qualcosa da guardare e basta, senza commenti. Ha scritto Lea Melandri (tra l’altro tra le intervistate del progetto multimediale Lunàdigas di Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, proprio sulle donne che hanno scelto di non avere figli): «rileggere la propria storia in un’ottica nuova, inedita, significa anche riscriverla».
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