A sentirlo parlare pare impossibile che il professor Paolo Savona abbia potuto scatenare la crisi istituzionale che il 27 maggio stava per portare all’impeachment del presidente Mattarella.
Per le stesse ragioni e per le idee progressiste che porta avanti, è però difficile immaginarlo a suo agio nel governo dominato dal Salvini che la guerra in Europa l’ha cominciata sulla pelle dei migranti.

La prima uscita pubblica dell’81enne nuovo ministro agli Affari europei è la presentazione della sua autobiografia («Come un incubo e come un sogno») all’associazione della Stampa estera per l’occasione assalita dal circo mediatico.

Fedele al voto del silenzio sul suo ruolo e programma nell’esecutivo – «lo farò quando il governo avrà assunto una posizione», «il rispetto delle posizioni comuni ce l’ho nel sangue» – Savona ha comunque difeso le sue idee («l’economia è una filosofia, non una scienza esatta»), comprese le opinioni sulla Germania guerrafondaia e sfruttatrice del resto del continente.
Sotto il fuoco di fila dei colleghi tedeschi le sue risposte sono state precise. «Le mie frasi sulla Germania erano da analista, si trattava di una diagnosi sul tema durante un convegno a Firenze in cui ho discusso con molti colleghi tedeschi. Sulla concezione della democrazia io credo che la Germania deve essere disposta a dialogare con gli altri. Diversamente – ecco la previsione fenasta – le elezioni europee potrebbero essere un fatto serio per la tenuta dell’Europa». E ancora: «Avrei potuto abiurare e avrei preso il ministero dell’Economia. Magari sarei uscito e come Galileo avrei detto: “Eppur si muove”, ma non ci si comporta così». Anche la scoperta che l’editore (Rubbettino) ha fatto mettere una fascetta con su scritto «Il libro che fa tremare l’Europa» per evidenti motivi commerciali non lo scompone: «Non ero stato avvertito».

Esortato a parlar bene dell’euro con citazioni del Ciampi che guidava il governo del 1992 di cui faceva parte, Savona non ha problemi. «Non solo ha aspetti positivi, ma indispensabili: se vuoi avere un mercato unico, devi avere una moneta unica».

Le critiche però rimangono. E sono circostanziate: «La costruzione europea è limitata, va perfezionata: serve una Bce con lo statuto della Fed americana». E ancora: «Nel 1992 avremmo dovuto fare come l’Inghilterra: chiedere un opting out (la possibilità di uscire, il piano B dell’epoca, ndr) prima di aderire all’euro».

Savona ha detto sì alla «telefonata che mi ha cambiato la vita mentre mi preparavo a godermi l’estate sarda nel mio ovile» per spirito di servizio. Convinto di poter «incanalare» la rabbia «uscita dai risultati del 4 marzo», figli di «un popolo che si adira, soprattutto se non ha niente da perdere».

Gli unici riferimenti alla squadra di governo sono improntati alla moderazione. «Nei posti chiave hanno messo persone come me, Moavero e Tria». Il giudizio su chi l’ha sostituito è più che positivo. «Serviva una persona giovane e con un po’ di incoscienza, le sue prime parole (assai abbottonate, ndr) le ho condivise».

E capita perfino che Stefano Fassina e Giorgio La Malfa al suo fianco parlino lo stesso linguaggio keynesiano: «il problema di fondo è che l’Europa deve perseguire la piena occupazione, non svalutare il lavoro come accaduto in questi venti anni». Nel frattempo Paolo Savona è tornato sulla scena.